Cultura e Spettacoli

L’Intendente faceva paura

Molto si è scritto a proposito dei servizi di sicurezza e del regime carcerario borbonico. Ogni volta la penna era intinta nel veleno, quasi che solo nel Regno delle Due Sicilie la polizia fosse occhiuta e le carceri un incubo. La verità è che a quei tempi Intendenti e carcerieri si somigliavano dappertutto e che ancora dappertutto le prigioni erano anticamere dell’inferno. Ma la Storia, si sa, la scrivono i vincitori. E’ comunque interessante farsi un’idea dello sbirro ‘universale’ dell’Ottocento. A tale scopo è utile leggere quanto scrive Pietro Palumbo in ‘Risorgimento salentino 1799-1860’, Lecce, Centro di Studi Salentini, 1968. A pagina 536 sembra tratteggiato il prototipo dell’Intendente di Polizia implacabile e irriducibile. Palumbo parla qui del Cav. Carlo Sozi Carafa, Intendente di Terra d’Otranto : “… barone di San Nicola, goffo napoletano, ringentilito per le nozze con una Pacca, parente del noto cardinale. Alto, irsuto, con grossi mustacchi biondi, aveva voce gutturale e viso tra cane e iena. Rappresentava l’onnipotenza del re irato, del re terribile, deciso ad annientare i propri nemici. Mai come sotto il suo governo, fu esercitata la bieca misura della ‘empara’ con maggiore larghezza e crudeltà”. I suoi metodi lo resero inviso in tutta la Provincia di Lecce (all’avvento dell’Unità dovette fuggire all’estero). Un esempio del suo modo di interpretare il proprio ruolo : Il 20 luglio 1857 il Sozi Carafa, sempre in qualità di Intendente, firmò una Disposizione riguardante chi venendo da fuori Lecce ivi prendeva residenza per ragioni di studio. Tutti gli studenti (fauna umana particolarmente temuta dai forcaioli borbonici) provenienti dai comuni della provincia salentina o da “aliena provincia” dovevano “provvedersi della carta di soggiorno” a rilasciare la quale era naturalmente l’Intendenza. Per ottenerla gli interessati dovevano presentarsi presso il Commissario di Polizia e lì compilare la relativa domanda indicando, oltre le generalità, l’indirizzo d’alloggio e i mezzi di sussistenza, “tutte le altre notizie che potranno occorrere alla Polizia”. Tanto significa che il richiedente doveva subire un vero e proprio interrogatorio che possiamo immaginare improntato alla massima diffidenza piuttosto che alla più epidermica curiosità. L’iter burocratico prevedeva poi che, raccolta la domanda, il Commissario passasse all’Intendente “i corrispondenti notamenti per il rilascio dell’enunciata carta”. La carta di soggiorno, che aveva il costo “pel diritto” di “grana undici”, durava appena due mesi. Dubitiamo che il rinnovo fosse automatico. Anzi, il rinnovo doveva essere condizionato ad una seconda raccolta di notizie. Per cui, secondo interrogatorio e questa volta con toni improntati a maggior sospetto poiché lo studente, ambientandosi, poteva aver preso contatti con qualche dissidente… E chissà che in questa circostanza gli studenti, a seconda delle necessità, non venissero catechizzati, messi in guardia,  intimoriti o addirittura – quando era il caso – sollecitati a ‘collaborare’ con la Giustizia (gli ‘infiltrati’ sono merce senza tempo), magari in cambio di un buon biglietto di raccomandazione al momento di presentarsi agli esami… E se gli studenti in difetto non si pentivano? I trasgressori erano “immediatamente condotti dalla forza pubblica alla patria rispettiva”.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 5 Ottobre 2018

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