L’ira di Sgarbi, le regie disinvolte
Avantieri a Martina Franca, in apertura del 49° festival della Valle d’Itria, era di scena un discusso allestimento de ‘Il turco in Italia’ di Rossini
Sgarbi avrà pure un caratteraccio, ma quando ci vede giusto non ce n’è per nessuno. Avantieri a Martina Franca, in apertura del 49° festival della Valle d’Itria, era di scena un allestimento de ‘Il turco in Italia’ di Rossini per la direzione di Michele Spotti e la regia di Silvia Paoli. Contro quest’ultima figura si sono scatenati gli strali del Sottosegretario alla Cultura. Nel libretto di Felice Romani “la scena è nelle vicinanze di Napoli in un luogo di villeggiatura”. Nella trasposizione della regista fiorentina, invece, la vicenda si ambienta in una immaginaria località balneare pugliese degli anni Cinquanta / Sessanta. La trovata non è andata già a Sgarbi che ha parlato di operazione ridicola, di accostamento volgare con la banalità del consumismo balneare dell’Italietta del boom economico (insomma mancava solo Paoli con ‘Sapore di sale’). Ma il vero obiettivo del grande critico d’arte non era tanto il lavoro della Paoli quanto il clima culturale in cui esso nasce. Un clima responsabile di libertà spesso incresciose, di cui proprio molti Festival hanno dato esempio. Succede questo : registi di modesta caratura (“balbettanti e analfabetiche regie” – ancora lui) a corto di idee, oltre che mezzi, provano a supplire a queste deficienze con l’arma della trasgressione. Per cui, sfoggiando un’audacia che sconfina nell’arroganza culturale e aggrappandosi alla pretestuosa necessità di svecchiare e modernizzare repertori, danno vita a forzature interpretative in relazione ai concetti di comico e tragico. Premesso che ciò avviene anche nel mondo del teatro di prosa e in minor misura in quello della danza, si dà così vita a cose tirate per i capelli. Sgarbi ha ragione. Ma a favorire lo sconcio non è tanto l’inconsistenza delle regie quanto il consenso della platea e della critica specializzata. Un consenso per lo più espresso per prudenza, ignavia o calcolo. Lo spettatore teme di passare per ignorante, mentre il critico cerca l’occasione per andare controcorrente, “dire qualcosa di nuovo” e farsi notare. Per quanto ciascuno possa pensarla diversamente in cuor suo, entrambi finiscono col fare il gioco di quegli impudenti che, cavalcando la tigre della noia e dei limiti di un repertorio storico che non va oltre un centinaio di titoli, abusano degli Autori (Sgarbi ha parlato persino di “stupri”). E’ un po’ la storia di quell’imperatore vanitoso e gonzo di cui si parla in una fiaba di Hans Christian Andersen : Un giorno due imbroglioni giunti in città spargono la voce di essere tessitori e di avere a disposizione un nuovo e formidabile tessuto, sottile, leggero e meraviglioso che ha la peculiarità di risultare invisibile agli stolti e agli indegni. Va allora a finire che al momento del corteo in pompa magna l’imperatore si ostenta pressoché nudo. E a cominciare dallo stesso sovrano, tutti fingono a sé stessi che per strada sta sfilando l’uomo più elegante della terra…
Italo Interesse
Pubblicato il 20 Luglio 2023