Liste d’attesa maledette: due anni per un intervento…e se fosse già tumore?
Riapre una ferita sempre aperta, l’ultima denuncia del vicepresidente della Commissione Sanità e consigliere regionale di Fratelli d’Italia, Renato Perrini, quella delle liste d’attesa nel sempre più lacerato comparto sanità, in Puglia. “La malasanità pugliese ha il viso di uomini e donne, che sono pazienti in tutti i sensi, non solo perché ha bisogno di cure, ma anche perché devono attendere mesi se non anni”, attacca Perrini. Che poi entra nel vivo del suo racconto con una storia vera con una denuncia, l’ennesima, che ha raccolto. Anna (nome di fantasia) è una ventenne e nel settembre scorso le viene riscontrata una lesione sul viso. Una parte del corpo che in una giovane donna è tutto! Dopo una visita dermatologica le dicono che doveva essere operata e poi analizzata istologicamente. “Ma due mesi, a dicembre 2022, quando è andata al Centro Unico di Prenotazione del Policlinico Consorziale di Bari allo scopo di prenotare l’intervento chirurgico in ‘day hospital’, le hanno detto che il primo giorno utile è il 29 aprile del 2024”. Sì, ben un anno e quattro mesi dopo, tempi ai quali bisognerà aggiungere almeno altri quaranta/cinquanta giorni -se tutto andrà bene …- per avere gli esiti dell’esame istologico. Perrini tirna le conclusioni. “Da settembre 2022 a giugno 2024, giusto per sapere se la lesione è di natura maligna. E se malauguratamente lo fosse? In circa due anni il male quanti danni potrebbe provocare? Non solo fisici, ma anche psicologici in una ragazza ventenne? “Altro che prevenzione, qui siamo di fronte a una premeditazione alla malasanità. L’assessore Palese ne tragga le conseguenze”. Eppure, secondo gli ultimi dati, sarebbero circa 400/500mila i pugliesi in lista d’attesa per una visita ambulatoriale specialistica. Con un’attesa media, appunto, di centottanta giorni. In alcuni casi, al momento della prenotazione, non viene assegnata manco una data. Sospendere o addirittura chiudere le liste d’attesa è illegittimo. Se invece si ricorrere alla modalità “intramoenia” (sempre nella stessa struttura pubblica ma a pagamento) la prestazione vede notevolmente ridotti i tempi. Ancora meno i tempi se l’assistito decide di mettere mano al portafogli e recarsi in uno studio privato. Allora l’attesa può anche essere ridotta a uno o anche solo un paio di giorni. Non tutti, però, possono permettersi di pagare, soprattutto gli anziani e i meno abbienti, i quali si vedono in questo modo praticamente negato il diritto alla salute e alle cure. E non sembri fuori luogo ricordare che il diritto alla salute è sancito dall’art.32 della Costituzione e che la Legge 833/78 istituì il Servizio Sanitario pubblico e universale, tenuto a erogare le prestazioni che dovrebbe servire a garantire – ma il condizionale è più che mai obbligatorio – la salute di tutti. Ma cosa succede se il paziente non intende aderire alle liste d’attesa? Non tutti sanno che il medico di base o lo specialista debbono sempre indicare sulla richiesta una classe di priorità, cui corrisponde un tempo massimo di attesa. Insomma, se i tempi indicati nella richiesta di visita specialistica o intervento -…con tanto di codice – non vengono rispettati dall’azienda ospedaliera o dalla Asl competente per territorio, il paziente ha diritto a rivolgersi a un sindacato o, nei casi più gravi, al proprio legale.
Francesco De Martino
Pubblicato il 7 Febbraio 2023