L’italianicchio ignora l’appellativo “mister”
Sì, sono sicuro che qualche radicalizzato patito del calcio (oggi, nell’italietta, almeno, praticato, a suon di milioni, in stadi fatiscenti, da calciatori modesti, tecnicamente, dalla sottocultura mercenaria, forniti di approssimativi fondamentali, bravi, di “contra”, in gomitate, sputi, galeotti sgambetti; vissuto, ovunque, da tifosi violenti, se non criminali) nel leggere il Titolo di questo mio Scritto, potrebbe controbatterMI che, dai pulcini ai calciatori, non atleti (considerata la vita che conducono tra una discoteca e l’altra, di notte, alla faccia degli “stronzi” che la mattina si alzano presto, per recarsi al lavoro, col solo obiettivo di devolvere qualcosa del loro striminzito reddito ai botteghini degli stadi, non nell’acquisto di qualche LIBRO, che potrebbe, umanamente, intellettualmente, culturalmente, dirozzarli), immeritatamente, di successo, è d’uso, d’abitudine, “in automatico” (espressione miserabile che la dice lunga sull’essere gli italianicchi, pavlovianamente, eterodiretti da qualcosa o qualcuno al di fuori del loro cranio”sine cerebro”) appellare il loro allenatore “mister”, senza, magari, conoscerne il significato nella traduzione dalla lingua inglese a quella italiana, pur, insegnata dal vivente pippo baudo e, nel recente passato, dal fu mike buongiorno. A parte il fatto che il gioco del calcio fu inventato dagli inglesi, l’appellativo “mister” all’allenatore deve essere compreso in quella risicata sequela di vocaboli inglesi, oltre cento anni fa, arrivata nell’italietta, tra cui: “foot ball” (gioco del calcio), “goal” (rete), “corner” (calcio d’angolo), “penalty” (calcio di rigore), “off – side” (fuori gioco), ecc.,ecc., ecc., che i gladiatori in mutande, piccoli, adulticelli, utilizzano con acritica “nonchalance”, quasi per un dovere civico, ereditato dai loro maggiori, come, dopo essere stati battezzati, il sottomettersi, non sapendo perché, alla prima comunione, alla cresima, al matrimonio in chiesa, all’estrema unzione, quando saranno sul punto di stendere i piedi. Come, oggi, è un obbligo, loro intimato da parte del coro, inderogabile, ineludibile, indefettibile essere barbuti, farsi con ineliminabili tatuaggi, da ospiti di “sin sing”, vandalizzare tutto il corpo; come, ad ogni scoreggia della bocca, immettere nel loro grugnire l’aggettivo “importante”, l’avverbio “sicuramente”, il “topos “stare sul pezzo” ed altre amenità imbecilli. Noi italianicchi siamo bravi nel mettere tra parentesi i buoni costumi, tradizioni, pratiche, abiti, disposizioni, atteggiamenti e conservarne, invece, i peggiori. Ad esempio, specie, tra noi meridionali (e proprio tra noi meridionali è caduta in desuetudine) era suggestiva la tradizione che ai nepoti s’imponessero i nomi dei nonni paterni e materni. Suggestiva, ché ad essi si dava l’illusione di continuare a vivere nelle nuove generazioni. Era una tradizione “a costo zero”, eppure, per i nonni immensa era la gioia, commista a interiore soddisfazione, di potere menare vanto che non tutto sarebbe finito con la fine del loro corpo; Qualcosa di loro avrebbe trionfato sulla Morte. Ebbene, Codesta Bellissima Usanza è, quasi, del tutto sparita. S’impongono ai nuovi nati nomi di improbabile serietà: a volte stranieri, a volte suggeriti da qualche stupido o stupida “star”di catodico successo. Ad esempio, molti ragazzi italianicchi degli anni ’70 del secolo scorso portano, loro malgrado, il nome “christian”, ché in uno di quegli anni un modesto cantante aveva vinto, s’oda, s’oda, il “festival di san remo”. Ad esempio, fa tanto “radical chic” il nome andrea. Ho due cari Amici, entrambi nomati Domenico (Riflettano i miei 25 Lettori sulla Bellezza del Nome Domenico, dal Latino: “Dominus meus”, cioè, il “Signore è proprio mio”, “Appartengo proprio al Signore”. Dante nel Canto XII del Paradiso ai versi 70 – 72 Fa Celebrare Domenico da San Bonaventura: ”Domenico fu detto; ed io ne parlo /sì come de l’agricola che Cristo /elesse a l’orto suo per aiutarlo.”). Non per altra motivazione plausibile, se non per la sciatteria modaiola, che attanaglia i poveri di spirito, pur forniti di accademico lauro, i nepoti dei miei due Amici si chiamano andrea. E non si Beano del Nome di “Grazia” ben cinque nepoti di una mia sorella (Invito, ancora, i miei 25 Lettori a Ponzare: sulla Notevole Caratura Teologica del Nome ”Grazia”, cioè, il Dono da Dio Elargito ai suoi Eletti che Li Rende Partecipi della Vita Divina; sullo Spessore Estetico del Nome “ Grazia”, che il Dizionario “Treccani”, così, Esplicita: ”Qualità naturale di tutto ciò che, per la sua intima bellezza, delicatezza, spontaneità, finezza, leggiadria, o per l’armonica fusione di tutte queste doti, impressiona gradevolmente i sensi e lo spirito). Cosa, quindi, ha da spartire il Nome “Grazia”, con i nomi “da banco”, cecilia, margherita, eleonora, francesca e altre “onomastiche” amenità ? La stupidità della gran parte dei genitori di oggi sta nella presunzione di contribuire al rinnovamento del mondo, di sentirsi, di apparire, appunto, moderni, disattendendo il Rispetto della Continuità ”Onomastica” Famigliare, mentre, al contrario, dovrebbero, puntualmente, seriamente, rigorosamente, disattendere il geloso custodire la ”merda” che hanno in testa, per non trasmetterla ai propri fantoli, con pericolo di collaborare, pur nel loro piccolo, con coloro che hanno interesse alla stasi etica, sociale, politica, economica del/nel mondo. E’ un antico vizio della plebaglia, sia proletaria non più indigente, che quella borghese arricchita, rubare, diciamo, alla classe che hanno, ognora, invidiato, cioè quella dei “ghene” greci, delle “gentes” romane, delle famiglie, in generale, nobili, aristocratiche, ”sfornatrici” nei millenni e nei secoli di regnanti, imperatori, le cose peggiori del loro bagaglio umano e non Ciò che di Raffinato, di Gentile, di Alta Intellettualità esse avrebbero potuto permettersi, data la loro posizione economica, sociale, politica. Rari sono stati nei Tempi i Padri, come Quello di Orazio, che vendette i suoi terreni, per mandare a Studiare in roma suo Figlio, sotto la Guida di Insigni Maestri, seppur, “Plagosi” (Esigenti e non poco maneschi), tirandoLo fuori dalla melma in cui viveva la piccola borghesia, composta di centurioni romani (gli odierni sottufficiali) di stanza a venosa, che mandavano i loro figli nelle scuole della cittadina basilisca, perché sfoggiassero le cartelle (“bulga/ae” in Latino; “bugg” in Lingua bitontina) alla moda, non un “cervello moderno” (Ho Insegnato un anno nel liceo classico di venosa e, data la clientela, generata da pizzicagnoli e medici condotti, dopo oltre duemila anni la motivazione della frequenza di essa a scuola non era di molto cambiata). E il Figlio, pur nelle grazie, di augusto e mecenate, si contentava di qualche rapa e di pane di farro. Egli Divino Poeta! Mentre nei tempi ci sono stati ex schiavi liberati, detti liberti, come quello reso famoso da Petronio, di nome trimalcione (che codesto liberto sia veramente vissuto o meno, non importa; importa, in ogni caso, che Petronio abbia Rappresentato nel suo”Satyricon” il vissuto di un insieme di ex, socialmente, economicamente, politicamente, ultimi che, assurti alla “straricchezza” o, più realisticamente, liberatisi della estrema povertà, indigenza, inopia, non avevano altro modello che le azioni, le parole, le omissioni più di cattivo gusto, volgari degli antichi padroni), che menava vanto di passare, di transitare, esclusivamente, per i suoi possedimenti, quando si recava in sicilia; che, solitamente, organizzava “cene leganti”; che aveva un esercito di cuochi, ”qui delectabant palatum suum”. Inoltre, il “falerium opinianum annorum centum” innaffiava i suoi convivi (i ristoranti, i pub, le pizzerie, bar, oggi, sono riempiti solo di agnelliani, di pirelliani, di oligarchi russi, cinesi o non, anche, o, soprattutto, di comuni, sconosciuti signori rossi, bianchi e dei loro figli ? E chi frequenta le discoteche, inferni di droghe, di alcol, solo ricchi sfondati o non, anche, o, soprattutto, proletari, giovani rampolli della piccolissima borghesia, non di rado disoccupati ?) e, da buon pezzente arricchito, trimalcione non amava il Teatro, i Luoghi di Eccelsa Umanità; si recava alle terme su costosissimi “triclini”, ai circhi, per fare, sguaiatamente, il tifo per i gladiatori e conduttori di bighe da corsa che lottavano e correvano per le bandiere, da lui preferite. Infine, la sua casa era ingolfata di oggetti di grossolana fattura. A oltre duemila anni di distanza, i “mastro don gesualdo” e dintorni, cantati, diciamo, da Verga, hanno, forse, uno stile di vita diverso da quello di trimalcione ? Amano le Arti Liberali? Quando insegnavo a bergamo, non sentivo parlare d’altro dai padroni delle ferriere e dai loro schiavetti che di “mangià, di scià, dell’atalanta”, essenzialmente, di ciò che sazia “la pancia e il sottopancia”, non lo Spirito. Ancora, l’italianicchio, abitante della periferia dell’impero anglosassone, non acquisisce che il peggio della robaccia, degli esiti sottoculturali che il centro di esso produce: invasione di rumori proclamati da “band pop, rock, rapper”; di ”look”, di mode carnascialesche; di cosiddetti “sport” estremi che mettono a repentaglio l’esistenza di chi li pratica, ecc., ecc., ecc., non la Nobilissima parola “Signore”, che non ha, assolutamente, attecchito nelle relazioni interpersonali dell’indigeno peninsulare con il suo prossimo. Nel mondo anglosassone, infatti, sia il primo ministro che il netturbino Si Presume Siano Signori, prima che primo ministro o netturbino. Al di là delle apparenze, dell’età, del sesso, degli abiti che indossa, delle rughe sul viso, dell’eleganza dell’eloquio, del viaggiare su un “triclinio” costosissimo (nel mondo romano l’equivalente di una “ferrari” di oggi), per presunzione, sempre, al rialzo, ciascun Uomo o Donna è in quel mondo Signore,, Capace, cioè, di Decidere della sua Vita; in grado di non delegare ad alcuno le sue Scelte Esistenziali; di Dire “no” o “sì” i piena, responsabile Libertà. Nell’italietta, viceversa, conta più l’apparire che l’Essere: si può apparire mafioso, uomo di rispetto e si dà il “don”; se il Viso è Ricco di Rughe (Indizi di Vita, problematicamente, Sofferta) su un corpo non vestito da armani, non deambulante su una “porche”, si dà al Possessore di Esso il dispregiativo (in una società malata di giovanilismo) di ”nonno” e cani e porci si permettono di dargli il “tu”, il topolino fedriano, che l’arrogante montagna del ’68 partorì per accrescere, illusoriamente, l’arrogante autostima dei servi e delle serve, comunque, “ad aeternum”, secondo i progetti degli occulti mandanti di quel delinquenziale movimento. Chi non E’ Deve, sempre, Mantenere le Distanze da Chi E’, per Essere Sollecitato ad InseguirLO sulla Vetta, che Compete alla Superiorità dello Spirito; mentre è audacia grottesca, febbrile, eversivamente, dittatoriale della ignoranza, quella dei macellai, dei prestinai, dei salumieri, dei mocciosi e mocciosette, armeggianti, ad esempio, alle casse dei centri commerciali, tentare con un proditorio “tu” di eliminare la chilometrica distanza tra la inferiorità e l’Eccellente Egemonia di Chi da essa Si Liberò con Fatica, alle tenebre, la Luce Preferendo.
Pietro Aretino, già detto Avena Gaetano
Pubblicato il 12 Aprile 2017