L’italietta e i suoi errori. Rimeditate, gente!
Agnelli gianni era solito dire (stercata che abbiamo più volte citata nei nostri Scritti) che ciò che andava bene alla “fiat” andava bene all’italietta (il vezzeggiativo ironicosarcasticospregiativo è, purtroppo, nostro!). Per carità, non il contrario! E, per essersi tanto adoprato per la sua “ditta” e non per l’italietta, il soprannominato avvocato (ché l’avvocatura, giammai, praticò), l’allora presidente della repubblichetta, francesco cossiga, il gladiatore, lo nominò senatore a vita. Prima di entrare “in medias res”, al nostro Discorso sarebbe opportuno qualche, mai ovvio, rinfrescante Cenno di Geografia. L’italietta, morfologicamente, è un lungo stivale che s’incunea (dando il nome a tre mari: l’Adriatico a est, lo Ionio a sud, il Tirreno a ovest) nel cuore del mare Mediterraneo (quindi, le coste, selvaggiamente, antropizzate dagli italiettini, si sviluppano su km. 7459), mentre s’aggancia al continente europeo a nord per mezzo della catena montuosa delle Alpi. Un fiume, il Po, navigabile, di km. 652, che nasce dal Monviso e sbocca con un “delta” (riconosciuto “Patrimonio dell’UNESCO”) nel mare Adriatico, al nord attraversa, intiera, la pianura padana. I nostri 25 Lettori avranno, certamente, Intuito che NOI CI siamo Serviti di brevi Cenni di Geografia, per dire che il Po, l’Adriatico, lo Ionio, il Tirreno, se i vieti governi italiettini postfascisti non avessero ascoltato gli, altrettanto, vieti “dictat” degli agnelli, avrebbero potuto costituire 4 comode, sicure (per non sprecare altri aggettivi qualificativi) autostrade per il trasporto delle merci e delle “persone” da nord a sud, da est a ovest. Senza Dire che, se i governi italiettini non fossero stati, esclusivamente, al servizio degli agnelli, come lo furono i governi prefascisti e mussolini, avrebbero potuto investire lire per migliorare il trasporto delle merci e delle “persone” su rotaie, essendo lo stivale dotato di una rete ferroviaria che meritava,”tamen”, di essere ampliata e ammodernata. Cosa che, tuttora, non è stata fatta (vedere, per credere, la “bari – Napoli”, che collegherebbe l’Adriatico con il Tirreno, più velocemente). Invece, correva l’anno del signore 1956, che l’allora presidente della repubblichetta, giovanni gronchi, ex sottosegretario nel 1° governo di mussolini, pose la prima pietra dell’autostrada “A1”, detta “autosole”. Secondo i coristi vicini ai governi con a capo ominicchi della “dc”, della“balena bianca”, l’ “A1” avrebbe unito l’italietta, aspirazione che fa il paio con ciò che si augurava il buon massimo d’azeglio, non vedendo, pur l’italietta, comunque, “appolpettata”, “fatti” gli italiani. La Storia fino ai nostri giorni ci testimonia che gli italiettini sono stati “fatti”, omologati, omogeneizzati nel modo di esprimersi, nello stile di vita, negli ideali (ideali? No!, è una parola tropo impegnativa per una turba di condomini, quali essi sono) dalla robaccia che il tubo catodico ha ammannito ad essi, specie con l’avvento delle “tv” commerciali berlusconiane. Riprendendo una icastica definizione di Alberto Moravia, il popolo italiettino non è una Società di Cittadini, ma una federazione di famiglie (condominiali, Aggiungiamo NOI), alcune, ufficialmente, canonicamente, mafiose, altre di inconscia sostanza sottoculturale mafiosa. Sicché, le numerose autostrade, che dalla fine degli anni ’50 del secolo scorso sono state costruite sullo stivale, permettendo su di esso più lesti rapporti, relazioni illeciti, hanno fatto di esso un grandioso ricettacolo di tutte le specie di mafie, costringendolo, insanabilmente, in una inossidabile unità mafiosa. Per tornare alla “A1”, essa fu inaugurata il 4 – 10 del 1964 dall’allora capo del governo italiettino, aldo moro. Da milano a napoli, di 755 km la più lunga autostrada italiettina era costata 350 milioni a chilometro, non si sa se comprese o più le tangenti ai politici e le istituzionali regalie alle mafie, per ciascuna delle quali ogni chilometro di avanzamento di essa costituiva il territorio privilegiato da mungere, secondo le spartizioni di prammatica, rituali all’inizio di ogni pubblica opera faraonica. Non si direbbe, stentiamo a comunicare la notizia alle nuove generazioni, ammesso che esse, pure per sbaglio, abbiano avuto modo di gettare lo sguardo alle pubbliche malefatte, l’ ”A1” fu costruita in, appena, 8 anni (abbiamo usato l’avverbio “appena”, tenendo presenti i tempi biblici occorsi per costruire le altre autostrade e in generale le altre opere pubbliche di interesse locale o nazionale). Come mai ? Quale o quali gli artefici di tanto miracolo ? NOI avanziamo l’ipotesi che furono gli agnelli a mettere “il pepe ind o mazz”, per usare una colorita locuzione napoletana, dei politici ad essere più morigerati nel richiedere tangenti alle ditte appaltatrici; dei mafiosi a non mettersi troppo di traverso nell’imporre i loro pizzi a chi di dovere; degli imprenditori a non interrompere i lavori, chiedendo continue revisioni dei capitolati di appalto ai reggitori dello “stato”. Gli agnelli, infatti, erano esperti nel ricattare lo “stato”: s‘erano proiettati nel futuro, erano a capo di una industria automobilistica di importanza internazionale, producendo materiale bellico mobile, non a prezzo di mercato, “sed” al prezzo da loro stabilito, nella prima e nella seconda guerra mondiale, portando, col ricattare, col minacciare lo “stato” di fermare la produzione di ciò che ad esso serviva per spargere sangue, a livelli stratosferici il capitale aziendale, interamente versato. Inoltre, a parte gli eventi bellici, gli agnelli hanno, ognora, goduto di corsie privilegiate, per fare affari con lo “stato”, anche, ad ogni piè sospinto, proclamando “la festa finita” per migliaia di famiglie di dipendenti della “fiat”o del loro impero industriale, se lo “stato” non fosse venuto loro incontro con poderose rimesse di denaro o di incentivi. Perché. dunque, tanta fregola da parte degli agnelli per la costruzione di autostrade ? Come, precedentemente, abbiamo Detto, siamo alla fine degli anni ‘50 del secolo scorso e gli agnelli, come sono soliti i cani, avevano annasato odore di “fiorentina bistecca”, cioè avevano capito che nell’italietta, per ragioni congiunturali internazionali, non per il buon governo degli italiettini inquilini di turno dei “palazzi del potere”, stava per verificarsi il fenomeno, dai coristi di regime, ingiustamente, glorificato, del cosiddetto ”miracolo economico”, che, se miracolo fu, fece grazia ai solito noti, gli agnelli compresi, non alla ”plebaglia” dei proletari, dei “travet”, insomma, della piccola borghesia, ai quali arrivarono soltanto le briciole di esso.. I nostri 25 Lettori, forse, apprenderanno con stupita amarezza che NOI abbiamo etichettato milioni di italiettini, senza voce in capitolo, delle classi più tartassate del paese, ”plebaglia”. E sì, ché, approfittando, razionalmente, di uno “stato” italiettino più florido nell’erario, essi avevano il dovere di chiedere ad esso più servizi sociali in un incessante crescendo di efficienza nel campo della Scuola, della Salute Pubblica, del trasporto pubblico, appunto, delle merci e delle “persone”. Invece, la “plebaglia” si rassegnò alla destinazione di risorse immense per la costruzione di autostrade, distratte dalla possibilità di incremento dei servizi sociali di più apprezzabile qualità che avrebbero migliorato in modo, altrettanto, apprezzabile la qualità della loro vita. Contestualmente, alla rassegnazione di avere autostrade e non edifici scolastici belli, di moderno concepimento, funzionali alle esigenze del “Fare Scuola” che Secondasse la complessa Pregnanza Pedagogica della Parola” Scuola”; e non ospedali che non fossero “lager”, dove in ambienti di scarsa igiene si veniva curati poco per la miserabile negligenza del personale medico e paramedico, da nessuna autorità impedita, e si moriva molto, la “plebaglia” coltivò la brama di possedere l’ ”utilitaria” agnelliana e utilizzò qualche lira, che il “miracolo economico”, come la befana, fece ad essa trovare in busta paga, per acquistarla a rate, come acquistò a rate la lavatrice, il frigorifero, il televisore. Tanto che, alla fine, il “miracolo economico” si ridusse in un giro vorticoso di cambiali, di carta straccia, messo in moto da una marea di gente che conduceva il “ménage” famigliare al di sopra delle sue reali potenzialità economiche. Lo “stato”, anche, fu coinvolto, per motivazioni che sarebbe complicato analizzare in questo nostro Scritto, ma che potrebbero essere sintetizzate nella irresponsabilità dei politici di “attenzionare”, per incompetenza, per scarsa capacità di Progettare la “Polis”, la “pancia della “plebaglia” e non la “Mente” di Essa, fu coinvolto nell’abisso dell’indebitamento, ognora, più fondo, da cui non è più riuscito a “riveder le stelle”. Così, città invase da automobili, inquinate dai miasmi di esse, alla medesima maniera autostrade e morti innumerabili per incidenti automobilistici, mentre i cinema, i teatri si svuotavano e biblioteche deserte, come in passato. Inequivocabilmente, la pancia della “plebaglia” di qualche “leccornìa” veniva gratificata; anzi quanto più si soddisfaceva la pancia, tanto più s’inaridiva lo spirito degli italiettini. Nel loro lessico non esisteva e non esiste la Parola “Libro” e, di conseguenza, il Verbo ”Leggere”. Perfino l’alloro universitario italiettino si sostanziava e si sostanzia di manuali, non dei Monumenti della Scrittura d’Arte. Ancora, i coristi del regime osannarono la costruzione della ”A1” e, poi, di tutte le altre autostrade, affermando che essa e, poi, esse, diedero impulso alla nuova industrializzazione. Nuova ? Ma, sempre, con l’ambiente incompatibile, in quanto nell’italietta dove è nata una fabbrica, “alla mbam”, recita il Dialetto bitontino, cioè in modo infame, senza contare dieci volte, è stato perpetrato un “vulnus” alla salute degli abitanti del luogo ove è stata essa situata, all’ambiente, alla natura, in molti casi al millenario “paradiso” di molti territori. Il pericoloso petrolchimico di brindisi, ora, quasi, del tutto dismesso; lo stabilimento “italsider”, ora, “ilva” di taranto, sono i “testimonial” di malattie letali, di morte, di desertificazione definitiva di chilometri quadrati di territorio che erano giardini. Nuova industrializzazione ? Nuova, si fa per dire, industrializzazione, ma vecchia migrazione interna di frotte di disperati meridionali che con la valigia di cartone salivano la penisola nella speranza di trovare occupazione nella “fiat” e nell’indotto di essa, o nelle numerose intraprese del nordico. “triangolo industriale”. La depressione sociale, economica, politica, culturale meridionale, la cui responsabilità andava, anche, addebitata alle organizzazioni mafiose, di varia etichetta, presenti nel meridione, non di rado, colluse con i poteri politici romani e finanziari delle banche e dei “salotti buoni” lombardi, era funzionale alla lauta, lieta prosperità del nord. Si costringeva alla fame, all’inopia larghi strati di popolazione meridionale per avere manodopera a basso costo da sfruttare negli stabilimenti industriali del nord; ovviamente, nel caso i tempi avessero maturato condizioni di mercato depressive per i manufatti dei padroni delle ferriere, nessuno avrebbe loro impedito di proclamare: ”La festa, pur a base di ciotole di ‘plif’, cioè, riempite di niente, finita“. Infine, fu il medico ad ordinare per gli italiettini una nuova industrializzazione, o non è vero che, se Interroghiamo la Storia, fu la Bottega Artigiana e d’Arte ad Elevare le “Poleis” del Rinascimento ad altezze, mai più, raggiunte da altre civiltà ? Sappiamo che questa ultima nostra Dichiarazione susciterà scandalo e perplessità nei nostri Lettori, ma Essa è un Invito, una Provocazione, se si vuole, a Rimeditare i fatti e i misfatti della seconda parte del ’900, per capire la generale desolazione, economica, politica, etica, dell’italietta nel vortice della mondiale globalizzazione del primo decennio del duemila.
Pietro Aretino, già detto Avena Gaetano
pietroaretino38@alice.it.
Pubblicato il 7 Ottobre 2014