Cultura e Spettacoli

Lo scultore e la canzonettista, una storia torbida

Filippo Cifariello, noto scultore pugliese (era nato a Molfetta nel 1864), ebbe tre mogli. Le prime due non ebbero fortuna. La seconda, la povera Evelina Fabi, morì appena ventiduenne per le ustioni riportate a seguito dell’esplosione di un fornello a gas. La prima addirittura perse la vita per mano del marito… Occupiamoci di costei. Si chiamava Maria Brown, una canzonettista nota col nome d’arte : Blanche de Mercy. Cifariello l’aveva conosciuta nel 1890, al Teatro del Varietà di Roma. Al termine di una corte serrata e già ricca di sofferenze, riuscì a sposarla quattro anni dopo. Cifariello ebbe presto a pentirsene. Costituivano una coppia troppo male assortita. Lui era impetuoso, passionale e geloso. Lei invece era ambigua e incantatrice, un’egocentrica, una femme fatale che godeva nel far girare la testa agli uomini per manovrarli come pupazzi, a cominciare dal marito. Sin dal primo momento Cifariello pretese che la moglie abbandonasse teatro e salotti e si adeguasse ad un regime di vita non dispendioso come quello che conduceva. Chiedeva l’impossibile. In sostanza voleva che Maria rinnegasse sé stessa. Litigavano costantemente. Con la stessa costanza si riappacificavano. Ma nell’animo della donna andava risvegliandosi il rimpianto della vita libera e girovaga di un tempo. Alla fine la nostalgia del teatro ebbe il sopravvento e la Brown tornò a calcare i palcoscenici per tutta la disperazione del marito. Seguirono anni infernali per il povero Cifariello tormentato dalla gelosia. La moglie, continuamente circondata di corteggiatori, gliene dava ragione. Non passava giorno senza che il povero scultore rinvenisse tracce d’adulterio. Quello di Maria con l’avvocato Soria fu l’ultimo tradimento. Dopo un violento alterco, all’alba del 10 agosto 1908, avvenne l’irreparabile : “Presi la rivoltella che avevo nella valigia vicino al letto e sparai un primo colpo, seguito da altri quattro di cui era carica. Dopo sono scappato gridando : Ammazzatemi, ammazzatemi!” (dalla deposizione del Cifariello al Giudice Istruttore). L’artista pugliese però la fece franca. Riferendosi ad alcuni precedenti, la Commissione Psichiatrica concluse che l’imputato aveva “temperamento neuropatico e carattere nevrastenico”, che soffriva di “frenosi maniaco-depressiva” e che il delitto portava “le impronte psicologiche di uno stato passionale intenso” (dalla rivista “Eloquenza” numero marzo- aprile 1967). L’accusa dovette così riconoscere la provocazione grave e il vizio parziale di mente. Ciò facilitò il compito del qualificatissimo collegio difensivo. A maggioranza di voti i giurati pronunciarono un verdetto di piena assoluzione. – Nell’immagine, Gianciotto Malatesta sorprende Paolo e Francesca.

Italo Interesse

 

 

 


Pubblicato il 5 Aprile 2018

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