Lo sguardo del poeta
“Ogni persona è una lezione”, così marco lodoli in una trasmissione televisiva condotta da michele mirabella . A prima vista sembra una massima, un adagio, un detto, un motto, una sentenza, un apoftegma interessante. In realtà, c’è da maravigliarsi, per non dire, scandalizzarsi, per non dire, incazzarsi che un insegnante di “belle lettere”, un giornalista – scrittore di una certa notorietà usi la parola ”persona” per indicare un Uomo o una Donna dai quali potremmo avere un Arricchimento Umano, Culturale, IncontrandoLi, Ascoltando, senza pregiudizi, qualsiasi cosa Dichiarino. Diremmo, con singolare Ingenuità, perfino! C’è, ancora, da rimanere basiti che un addottorato in “Lettere Classiche” non conosca il significato originale della parola ”persona” che è, facilmente, recuperabile dal consultare un dizionario della Lingua Latina. “Persona” è, dunque”, la maschera che gli Attori Latini usavano per interpretare i vari personaggi delle Commedie “in cartellone”. Da una maschera, quindi, non si può imparare niente, se si prescinde da chi le Offre, le Dona il “flatus vocis”, che è l’Attore, rare volte, Autore del “Verbo”, del Messaggio Contenuto nel Testo Teatrale; di contro è, quasi sempre, l’Autore del Testo Teatrale che Affida all’Attore la Precipuità del suo Sguardo, la sua Capacità, Sensibilità di Vivisezionare ciò che, per abitudine, acriticamente, accettato, sembra “ovvio”, addirittura, “naturale”, “normale” (glaciale concetto statistico), per Affondare il bisturi della sua Intelligenza nei recessi incogniti, ma vivaci, condizionanti il nostro agire, dell’Animo Umano e Rivelare il magma delle nostre infinite possibilità di esistenze che possono, devono essere rappresentate da infinite maschere (”persone”), ognora, partorite da un Dialogo che si sviluppa al nostro interno o tra noi e gli altri o tra noi e il mondo oggettivo, cioè quello che ci sta di fronte. Siamo, drammaticamente, “Uno, nessuno, centomila”! Non sono, però,”maschere nude”, esse sono impregnate della vita del cosmo; tutto ciò che in esso respira ci attrae per la Bellezza e la Simpatia o ci respinge per l’orrido, pure, in esso diffuso e, spesso, alcuni drammi, dice la Spaziani, vissuti in Natura, per traslato possono ricondursi, essere esemplificativi di emozioni, di umane sofferenze. E l’Attore indossava la maschera, per Fissare, per Ipostatizzare, per Salvare dalla liquida, frale percettibilità dei fruitori della Commedia il particolare “parto” dell’incontro occasionale o voluto o programmato tra lo Sguardo del suo Autore e qualcosa o qualcuno che lo aveva Sollecitato ad Amarlo (è, comunque, l’ ”eros” il motore di qualsiasi andare dell’uomo verso l’altro uomo), al di là e al di fuori delle “colonne d’ercole” entro le quali, canonicamente, si amava o si odiava e, ancora, si ama o si odia. Pochissimi Sanno Guardare, moltissimi sanno solo vedere; non è indispensabile avere occhi efficienti per Sapere e Potere Guardare: Omero era cieco, eppure, ciò che gli occhi non vedevano, l’interminata sua Sensibilità Gli faceva Captare l’Universo Intero che Egli, Rispecchiò, Riprodusse nella sua Poesia, varia di una moltitudine di caratteri, mossi da un vasto intrico di passioni, molteplice nelle sue atmosfere, nell’amenità o nell’asprezza dei paesaggi, duale nella Grandezza Eroica di alcuni Personaggi o nella meschinità fisica e spirituale di altri. Per parafrasare Rimbaud, non basta avere il medesimo sangue, per avere la medesima Anima. Cosa che il Giovane Poeta, afasico dopo i 20 anni e, pertanto, “abbandonato dall’universo intero”, credeva di avere in comune con l’amata Sorella. NOI siamo la testimonianza inconfutabile di quanto testé abbiamo affermato: abbiamo avuto genitori, fratelli con ottima vista, “tamen” con poca disponibilità ad interessarsi (Guardare qualcosa o qualcuno significa Vederli con interesse appassionato ed essere certi che essi saranno utili, indispensabili ad incrementare il nostro Tono Umano e ciò che sta nei dintorni dell’Umano) a ciò che esulava, esula dall’orticello piccolo – borghese in cui si concludeva, ancora, si conclude, per alcuni di essi, la loro inutile, rituale, abitudinaria, prevedibile quotidianità. Siamo stati NOI condannati ad avere il medesimo sangue dei nostri genitori, dei nostri fratelli, non la medesima Anima! Ci può capitare l’occasione di avere tra le mani un volume con il frontispizio titolato: ”La Divina Commedia”: Ebbene, se fossimo dell’utri, l’amico di berlusconi, collezionista (temiamo, non senza scopo di lucro) di libri antichi, ci interesseremmo al valore commerciale di quell’edizione del Capolavoro Dantesco, con un “expertise” visivo e tattile, che per noi, (dell’utri, con rispetto) rimarrebbe un oggetto, possibilmente, di un quantificabile valore commerciale, ma senza la Culturale Capacità di Operare una metamorfosi su di noi, di farci essere diversi da ciò che siamo, anche perché, tra l’altro, ignoreremmo la Potenza Catartica della Poesia e dei Poeti. Se fossimo benedetto croce, faremmo come il contadino potatore che sfronda l’albero da ciò che ritiene inutile ai suoi, severamente, micragnosi calcoli produttivi. Croce, infatti, ritenne di salvare della “Commedia”, impoetico, secondo lui, pastrocchio di teologia, di filosofia scolastica, di utopia politica, di indignazione antipapale, soltanto un centinaio di versi, a suo dire, poetici, in quanto Dante s’era fatto, metaforicamente, costruttore di un castello le cui mura non erano nel tempo state coperte, interamente, dall’edera. Ciòè, la “Divina Commedia” non era, assolutamente, per il filosofo (??), napoletano d’adozione, un’opera, interamente, completamente, poetica ma, a voler essere benevoli, un romanzo teologico nobilitato da qualche tensione poetica. Aveva, forse, Guardato croce la “Commedia” con l’Animo di Chi Cerca in un’Opera di Poesia di Essere Aiutato ad AvvicinarSi alle Verità Essenziali ? No, certamente! Egli L’aveva esaminata con l’occhio del topo di, da biblioteca, scettico sulla possibilità, ad esempio, di dare un Fondamento Razionale al problema cardine della Metafisica: l’esistenza di Dio. Dante Dimostra, invece, che, per arrivare a Dimostrare l’Indimostrabile, basta scomodare l’ ”Amore”. Infatti, Dio è “Amor che move il sole e le altre stelle”; Amore, sinonimo di Razionalità che supporta lo stare, l’agire, la funzionalità degli astri nell’Universo, stabilendo per essi Connessioni Logiche, cioè gli astri, come tutte le cose create, nel Progetto, nella Volontà del Tutto o, se si vuole, di Dio, sono acclini, hanno un’inclinazione, partecipano all’ordine universale, per Parafrasare Dante,”…si muovono a diversi porti /per lo gran mare dell’essere e ciascuna / con istinto a lei dato che la porti”,. ”…ma già volgea il mio disio e il velle /sì come rota ch’igualmente è mossa…”. Lo Sguardo del Poeta Opera il Miracolo di Identificare il Desiderio di Dio e la Volontà di AmarLo, di GoderLo. Il Poeta sia sulla realtà, sia sulla metarealtà ha lo Sguardo vergine da qualsiasi arroganza. “A l’alta fantasia mancò la possa”, cioè, oltrepassati i limiti umani dello Sguardo, ché è possibile, come abbiamo prima Detto, soprattutto, con gli strumenti dell’Animo Umano che, intuitivamente, anche se non vede, Immagina ciò che è, e, anche, ciò che può essere, se si rimuovono gli ostacoli che impediscono a ciò che, ancora, non è di realizzarsi, al Poeta non resta altra possibilità che trovare una Parola, non Diremo, magica, sebbene una Parola “chiave”(Amore), per Conoscere e far Conoscere i Segreti del Mondo, per Dare una pallida Idea, una, pur imprecisa, Definizione ai suoi Lettori dell’Indicibile. Ecco la Beatitudine di una Visione, di uno Sguardo che, impossibilitato a sopportare la Folgorante Luce, non di Dio, che è Dio, Si Serve dell’Analogia con un fenomeno del Cuore Umano, per Dare al Contemplante dell’Assoluto la Coscienza, la Consapevolezza di ciò che di Straordinario sta Vivendo, per poterLo Memorizzare e Raccontare per un’Operazione Pedagogica di alto Profilo, Momento. Come se lo Sguardo avesse Delegato Dante a Comunicare agli uomini che Dio è l’Immenso, Colui che è, e non può essere altro da quello che è; Colui che l’Amante Innalza ad Altezze Inimmaginabili che, a sua volta, Sferza, Sollecita, Diremmo, Costringe il suo “Artifex” a Tentare di RaggiungerLo a quelle Altezze per essere Degno di ciò che ha Creato. “Ho fatto di te un Dio/ e Tu hai Creato un Poeta”. Chiedo scusa per l’Autocitazione! Contestando Croce, Antonio Gramsci, che non era Poeta, ma aveva dalla sua grande Dimestichezza con quella Parte della Filosofia che Si Occupa del Bello e dell’Arte, l’Estetica, la Dottrina della Conoscenza Sensibile, Dichiarò che tutto nella “Commedia” era Poetico o Poesia: la Struttura, il cosiddetto Romanzo Teologico, che i presunti Cento Versi, dei quali croce blaterava, che Gramsci Includeva nella Sovrastruttura. Per Spiegare, appieno, ciò che Gramsci voleva Contrapporre a croce, vogliamo Citare alcuni Versi di Clemente Rebora. Dalla finestra della camera, in cui stava per finire i suoi giorni, Rebora Guarda un pioppo e con lo Sguardo il Poeta, qualsiasi Poeta, “percepisce il nesso – Dice Pigi Colognesi – tra ciò che vede e ciò che c’ è in sé e in qualunque uomo (pochissimi, Lamentiamo NOI) che non abbia smesso di pensare”. “Vibra nel vento con tutte le sue foglie /il pioppo severo: /spasima l’anima in tutte le sue foglie /nell’ansia del pensiero. /Dal tronco in rami per fronde si esprime / tutte al ciel tese con raccolte cime: / fermo rimane il tronco del mistero, /e il tronco s’inabissa ove è più vero.”. Sempre, Pigi Colognesi ci Invita a Badare alla rima baciata: “mistero – vero”. Il pioppo che tende al cielo, il Pensiero che Si Macera; insomma, il “la” a ciò che, vivo, non può appagarsi della bassa, normale mediocrità del coro dei “tutto casa, lavoro, chiesa” sta “in una profondità dove abita il vero, che la consapevolezza umana riconosce nella forma ultima del mistero”. Bisogna essere, continuamente, in viaggio, soprattutto, con il Pensiero, con la Mente, in definitiva, con l’Immaginazione, per Liberarci e la Liberazione non è un deambulare orizzontalmente (come avviene, normalmente, o con i nostri mezzi fisici o con le protesi tecnologiche che ad essi apponiamo, che la modernità ci mette a disposizione, viepiù perfezionate, veloci, comode) ma un Innalzarsi, verticalmente, senza alcun ausilio, se non con la Triade della nostra Interiorità, che testé abbiamo Menzionato. Leopardi, prima di allontanarSi da Recanati di qualche centinaio di chilometri per bologna, per pisa, per roma, aveva Sperimentato la Dolcezza di Vagare nel mare dell’Infinito, e con gli occhi della sua vasta Interiorità, in cui aveva capitalizzato le sue personalissime sofferenze spirituali e fisiche, le umiliazioni che Gli provenivano dagli zotici, anche intellettuali, non, necessariamente, analfabeti, aveva Intuito le Emozioni e le Sofferenze Cosmiche. Come Dante, come Foscolo, solo per fare alcuni esempi, il Grande Giacomo era un albero, quasi, i cui rami irrompono al cielo, ma, albero, quasi, che traeva la forza da un “humus” misterioso solo per la complessità, per la ricchezza degli elementi che lo componevano. Qualcuno ha Detto che nella zolla di terra c’è di tutto, nell’Inconscio del Poeta, di ogni Poeta è Depositato il loro Raccolto e ciò che altri Poeti, prima di loro, avevano, hanno Raccolto, Guardando ingenuamente, liberamente, senza censure, le Sensazioni, le Fascinazioni, le Repulsioni, i conflitti del loro “IO” con il ”SuperIO” per quegli umanissimi Moti dell’Animo che, non di rado, erano, sono portati a rimuovere dalla loro Consapevolezza, che, pur, continuavamo, continuano a vivere, davano. danno loro la forza di tornare e ritornare, sino a che morte non li avesse divisi, li divida dal loro Sguardo, a “rivedere le stelle”. “La bocca mi baciò tutto tremante”, che Saba nelle sue “Scorciatoie” Considera il più bel Verso d’Amore che, mai, sia stato Scritto, da quale Inconscia Profondità Strutturale Dante ha Cavato ? Alcuni Ci risponderanno: ”E’ una Mistero!”. La Poesia, in Verità, non appartiene alle città dei morti, sebbene a quelle dei Vivi, e per i vivi – morti è, sempre. misterioso, ciò che loro per viltà rifiutarono, rifiutano di Vivere, di Conoscere, Guardando ciò che di, propriamente o non propriamente, Amabile v’è nella Natura e nelle Umane relazioni.
Pietro Aretino, già Detto Avena Gaetano
pietroaretino68@email. it
Pubblicato il 27 Giugno 2013