Cultura e Spettacoli

Lo sguardo di Cecilia

Con un po’ di fortuna il cinema italiano fra sei anni potrà festeggiare un centenario : quello di Cecilia Mangini, regista nata a Mola di Bari nel 1927. Grande amica e collaboratrice di Pier Paolo di Pasolini (vedi immagine), da sempre attenta alle condizioni di vita nelle periferie cittadine, al controllo delle classi subalterne e ai drammi sociali legati alla fabbrica e al boom economico, la Mangini ha firmato pellicole importanti : ‘Ignoti alla città’ (1958), ‘La canta delle marane’ (1960), ispirato a ‘Ragazzi di vita’ di Pasolini, ‘Essere donne’ (1965), ‘Comizi d’amore’ su sessualità e aborto, ‘All’armi siam fascisti’ (1962). ‘Stalin’ (1963), ‘Domani vincerò’ (1969)…Nel suo cinema dal taglio prevalentemente documentaristico, Cecilia Mangini non ha mai distolto lo sguardo dalla terra d’origine. Si pensi a opere come ‘Brindisi ‘66’, su come il colosso petrolchimico della Monteschell ha inciso sulla storia di quella città, e al recentissimo (2013) ‘In viaggio con Cecilia’, (girato con Mariangela Barbanente) in cui viene raccontata la mobilitazione contro l’inquinamento prodotto dall’Ilva. In precedenza, nel 1960, la Mangini – sulla scia degli studi di Ernesto De Martino – aveva girato a Martano, nel tarantino, ‘Stendalì, suonano ancora’, un cortometraggio di undici minuti su quanto sopravviveva nel sud della Puglia della remotissima usanza dei canti funebri di origine greca. Di rilevante il testo delle lamentazioni, tradotto con enfasi magno-greca da Pasolini e affidato alla vibrante interpretazione – fuori campo – di Lilla Brignone. Un corto, tra l’altro, girato a colori (e la fotografia di Giuseppe Mitri evidenzia tutti i limiti cromatici che quella tecnica presentava ai suoi albori in Italia). ‘Stendalì’ racconta indirettamente di come nel mondo antico fosse uso enfatizzare la veglia funebre ingaggiando popolane paludate di nero perché cantassero nenie di remotissima tradizione orale, piangessero e si abbandonassero a plateali segni di dolore, come battersi il petto, graffiarsi il viso o strapparsi ciocche di capelli (il più delle volte queste donne si presentavano spontaneamente per effetto di una percezione collettiva e anonima del lutto ; quanto alla ricompensa, non esistendo tariffe, ci si rimetteva al buon cuore dei congiunti del defunto). L’usanza è sopravvissuta nel Mezzogiorno d’Italia fino alle soglie degli anni sessanta. Nei paesi della Grecìa salentina le ‘chiangimuerti’ o ‘rèpute’ erano famose per il fatto di cantare nenie di origine greca. Le prefiche grike provenivano soprattutto da Martano. Le ultime di cui si conservi memoria furono Lucia Martanì, di Calimera ma nativa di Martano e, ancora di Martano, Cesaria e Assunta de Matteis.

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 24 Maggio 2019

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