Lo ‘spettacolo’ è per strada
Esiste migliore rappresentazione della vita che non sia la vita stessa osservata girando per il centro di una metropoli? Ad un passante senza fretta, attento, curioso, impermeabile alla smania di cacciare fuori lo smart per raccogliere immagini e incline invece al fotogramma o al video ‘mentale’, si offre una stupefacente, ‘spontanea’, variegata, frammentaria rappresentazione teatrale : una star che firma copertine, un sposa scappata dall’altare, un uomo rimasto in mutande e poi ancora poliziotti, turisti, battone, preti, innamorati delusi, rifugiati politici… Decine, centinaia, migliaia di ‘siparietti’ che uno dietro l’altro, si aprono e si offrono, ciascuno indipendente dall’altro e che perciò si susseguono senza altro nesso se non la comune appartenenza all’inafferrabile ‘commedia umana’. Nel suo insolito e ardito ‘Il giorno in cui siamo incontrati e non ci siamo riconosciuti’, Giuseppe Sollazzo si ispira a tale ‘spettacolo’ per comporre una complessa partitura drammaturgica in cui quattordici interpreti, ricorrendo solo al gesto e fuggendo la parola, danno vita a short-story da strada destinate a snodarsi e a decomporsi in altre schegge di vita che a loro volta dopo un poco si smaterializzano in nuovi siparietti, quasi un campionamento che non conosce fine e che prevede ritorni ciclici. Parliamo di qualcosa d’inafferrabile che s’avvicina al sogno, al trip, alla suggestione caleidoscopica, al delirio, alla regressione ipnotica. La rappresentazione del gioco dell’esistenza affidata alla riproduzione casuale? Forse sì. Quest’ultimo allestimento Diaghilev, nel bene o nel male resterà nella memoria di molti. L’opera di Sollazzo non è teatro puro, non è danza e nemmeno teatro-danza. E’ sé stessa. Prendere o lasciare. Si consiglia di prendere. Un lavoro che si fa apprezzare per la capacità di raccontare l’implacabilità dell’esistenza con un sorriso amarissimo, con humour graffiante, con raro senso del grottesco e genialità alla Monty Python. Un lavoro, infine, che eccelle per il coraggio con cui fra le righe si ride di Dio e del suo folle, sgangherato teatrino cominciato con la famosa storia della mela. Il tutto in mezzo a un tourbillon a dir poco vertiginoso di costumi, Molto opportune anche le scelte musicali. In scena un cast di prim’ordine, composto da Elisabetta Aloia, Valeria Angeloro, Antonella Carone, Altea Chionna, Maurizio Dellavilla, Carlo D’Ursi, Alessandro Epifani, Francesco Gisotti, Francesco Lamacchia, Giuseppe Losacco, Tiziana Manfredi, Serena Palmisano, Paolo Panaro e Vito Valenzano. Luci : Guido Levi.
Italo Interesse
Pubblicato il 21 Marzo 2018