Luca, eroismo e solitudine
E’Luca Cupiello un infingardo che fugge le proprie responsabilità celandosi dietro la preparazione di un modesto presepe oppure uno di quei poveri di spirito cui spetta il Regno dei Cieli? Il dibattito è aperto. Ma non importa chi abbia ragione poiché, comunque, ‘Natale in casa Cupiello’ resta una delle vette del teatro mondiale ; come tale, funziona sempre, persino in mano ai dilettanti, possedendo una magia particolare che illumina l’interprete, quale che esso sia, cavandone anche l’impossibile. Per il teatrante di rango quella stessa magia funge pure da imperativo categorico : Mai ripetersi. Per cui bisogna fuggire l’imitazione del modello edoardiano a beneficio di una strada personale e originale e che di tale modello faccia un imprescindibile punto di riferimento. Perciò Fausto Russo Alesi sceglie di interpretare il testo tutto da solo, senza togliere un personaggio, una parola, rispettando persino le didascalie. Un’impresa nella quale riesce laureandosi eroe. Con gesto e parola costantemente misurati, quasi un Fregoli del sentimento, quasi uno psicopatico dalle svariate personalità, senza sforzo apparente, senza scarti repentini, moltiplicandosi, Alesi fa rivivere una casa povera, un presepe ancora più povero e un campionario umano ricchissimo. Un successo. Un successo, peraltro, al quale sarebbero bastati un cono di luce e una sedia, secondo la migliore scuola del teatro di narrazione. Invece Russo Alesi pensa a qualcosa di simile a certe case di Napoli che, sgomberate in quanto pericolanti, vengono poi rioccupate da disgraziati abusivi. Calcinacci, fori nel solaio e ciarpame sparpagliato ispirano un senso di provvisorio. E’ un modo di rappresentare la (serena) condizione di precarietà in cui vive il ‘povero di spirito’? Se sì, è rappresentazione inutilmente didascalica. In compenso in una conversazione del dicembre di tre anni fa tra Eleonora Vasta e l’interprete, quest’ultimo riconosce allo spettatore la libertà di “leggere quello che la sua sensibilità gli suggerisce”. Ci piace allora immaginare che Luca Cupiello, venuto fuori dal coma e in qualche modo separatosi dalla famiglia, si ritrovi in un postaccio come quello riprodotto in scena e dove in solitudine schizofrenica obbedendo ad un richiamo irresistibile rievochi quotidianamente le 48 ore più intense e rappresentative della sua grama esistenza. Un loop che va avanti dal primo giorno di rifugio. E ancora, questa idea di una lastra di solaio sospesa nel nulla e dal nulla avvolta non fa pensare pure ad una zattera, ad uno scoglio sperduti nell’Oceano?… Sì, infingardo o povero di spirito, Luca Cupiello resta un uomo solo. E solamente un uomo solo in scena poteva rendere tanta solitudine. E grandezza.
Italo Interesse
Pubblicato il 18 Novembre 2015