Lucarelli e la Storia, il culto dell’onestà
Ricorre oggi il 63esimo anniversario della morte di Antonio Lucarelli. Nato ad Acquaviva delle Fonti il 20 marzo 1874, Lucarelli è stato uno dei più acuti e onesti storici di casa nostra. Meridionalista e autore di numerosi studi sul socialismo e sul movimento operaio, è stato il massimo studioso del contributo dato dalla Puglia all’unità d’Italia (tema al quale dedicò un’opera – ‘La Puglia nel Risorgimento’ – in quattro volumi usciti tra il 1931 e il 1953) nonché della rivolta armata dei braccianti contro il neonato Regno d’Italia. A quest’ultimo proposito la sua ben meritata fama è legata ad un’opera rimasta senza eguali : ‘Il brigantaggio politico nelle Puglie dopo il 1860. Il Sergente Romano’, Laterza – Bari, 1946. Il lavoro in questione è ampliamento di un precedente studio risalente a ventiquattro anni prima : ‘Il Sergente Romano, notizie e documenti riguardanti la reazione e il brigantaggio pugliese del 1860’, Soc. Tip. Pugliese, Bari 1922. Sostenuto da un prosa limpida, essenziale ed elegante ma senza affettazione, Lucarelli affronta lo spinoso argomento con rigore scrupoloso, con serenità spassionata e persino con coraggio. ‘Il Sergente Romano’ infatti fu pubblicato nell’immediato dopoguerra. A cosa poteva guardare una Patria a pezzi, avvilita e ancora lontana dal beneficiare del Piano Marshall se non al prossimo e primo centenario dell’Unificazione per ritrovare valori e identità? I primi giorni della Repubblica furono perciò segnati da un florilegio di contributi critici maliziosamente segnati da pregiudizi, luoghi comuni, stereotipi e omissioni gravi che nel 1961 avrebbero dato il ‘la’ a celebrazioni smaccatamente oleografiche. In un clima siffatto quella dei Mille venne fatta passare per una ‘impresa’ disinteressata, volta solo a spezzare le catene di un popolo (quello del Mezzogiorno) schiavizzato dal Regno del Male (i Borbone). E allora come chiamare quei barbari ingrati e avidi di sangue che all’indomani dell’Unità misero in discussione il neonato Regno d’Italia a sud se non come briganti? Per gentaglia di quella risma ci voleva la Legge Pica. E la Legge Pica fu, ennesimo bagno di sangue gratuito, buono soltanto ad allargare il fosso tra la plebaglia meridionale e la ‘lombrosianamente’ superiore razza nord italiana. Senza rivalutare nessuno (a cominciare dallo stesso Sergente), senza schierarsi con i briganti, senza chiamarli Insorti, Ribelli, Resistenti, Soldati o con altro epiteto degno di un combattente, senza fare opera di revanscismo borbonico, Antonio Lucarelli ebbe il coraggio di guardare sotto una luce diversa ai cosiddetti briganti. E la luce era quella che veniva da “un esame completo ed organico dei processi dibattuti in quegli anni turbinosi innanzi ai Tribunali di guerra o alle Corti d’Assise, fonti originarie ed autorevoli, che avrebbero potuto lumeggiare codesto fenomeno con una copiosa mese d’interessanti particolari” (sono parole dello stesso Lucarelli). Un esame “condotto sulla scorta d’innumerevoli fasci manoscritti che in tanta premeditata e dolosa dispersione di documenti furono avventurosamente rintracciati nei pubblici archivi”. Un esame, in definitiva, che ridimensiona la condanna della vulgata risorgimentale e restituisce dimensione umana a gente troppo sbrigativamente bollata, un popolo di sfruttati e di illusi, facili da usare e danneggiati nell’immagine dalla obiettiva presenza tra le loro file di autentici criminali.
Italo Interesse
Pubblicato il 10 Settembre 2015