Cultura e Spettacoli

L’urlo di Anna

Quando assai puntuale, la memoria può nuocere. Se poi ha per oggetto la sfera intima, essa può rivelarsi un boomerang, nel senso che, compiuto il ‘giro’, bussa a presentare il conto : una quantità di tasselli che, come in un supplizio dantesco, tocca ricomporre (col sovrapprezzo a fatica compiuta di soffermarsi a tirare le somme sull’immagine ricavata). Un esempio di questo sforzo di ricomposizione è ‘Un urlo che morde l’anima’ (Nuova Palomar – Bari, febbraio 2017), opera che segna il debutto di Anna Carbonara. Una quarantina d’anni (gli ultimi di quelli in corso) scorrono sotto la penna tutt’altro che frettolosa dell’Autrice. Una scrittura minuziosa e piana, non proprio originale tuttavia limpida, che prova a disegnare un modello di epopea al femminile nel quale, anche a costo di qualche forzatura e di esperienze prese a prestito, molte donne possono riconoscersi. L’urlo della Carbonara spesso ricorda quello, più celebre e ‘muto’ dipinto da Edvard Munch nel 1893. Qui una donna nata ‘sola’, dall’umore ondivago e in difficoltà nel gestire l’amore (che sia rivolto a sé stessa o al prossimo), naviga in costante rotta di collisione con l’universo maschile. Una storia-fiume, intrisa di lacrime e intervallata da lampi panici. Anna Carbonara si mette a nudo e non lesina dettagli. Tagli mirati avrebbe messo la storia al sicuro da digressioni superflue. Un dubbio accompagna la chiusura dell’ultima pagina : Ha senso affidare ad un libro la propria storia quando essa è comune? Di contro, perché solo un Giacomo Casanova, giusto per fare un esempio di vita affatto comune, ne avrebbe il diritto? E’ vero, le vicissitudini di una Lucrezia Borgia o di un Federico II sono ben più appassionati dei micro-drammi del signor Rossi di tutti i tempi, eppure è solo nel vissuto di quest’ultimo che l’uomo della strada (se mette da parte il sogno) può vedersi riflesso. Allora, cosa concludere, che chiunque ne sia capace sarebbe, oltre che in diritto, addirittura in dovere di raccontarsi? E ciò allo scopo di alleviare la solitudine in cui languisce un pugno di anime sensibili, cioè vulnerabili e quindi più delle altre esposte ai guasti di una Creazione imperfetta? Difficile dare una riposta. Non meno arduo è stabilire se sono più i punti interrogativi o d’esclamazione che la lettura di ‘Un urlo che morde l’anima’ giustifica. Se è vero che la verità sta nel mezzo, un’ideale teoria di punti sospensivi fa da scia alle ultime parole di un ‘opera che, per il fatto di fare da apri-pista, si presenta di difficile valutazione. Solo le opere successive consentiranno di realizzare la portata dell’esordio letterario di Anna Carbonara.

 

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 27 Aprile 2017

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