Cultura e Spettacoli

Macigni come sassolini

Passeggiando lungo le nostre coste non è difficile incappare, anche a una certa distanza dalla linea di riva, in stracci, copertoni, cordame nautico, parabordi da barca, cassette, bottiglie, taniche in plastica, alghe e pesci morti. Quando il mare è grosso certe cose possono ‘volare’ anche per decine di metri. Ma poi si resta interdetti dinanzi alla presenza di imponenti blocchi di pietra posti più indietro rispetto ai rifiuti di cui prima, così indietro da non poter essere raggiunti nemmeno dalle più veementi mareggiate. L’estraneità al contesto ambientale nel quale questi macigni si collocano balza agli occhi evidente. Sembrano scogli che un gigante abbia strappato al mare e poi scaraventato sulla terraferma… Questa immagine di forza bruta ci sta tutta. Si tratta infatti di piccole porzioni di roccia dell’area prossima alla riva distaccate dal mare e dallo stesso sospinte verso l’entroterra. Nemmeno il dodicesimo grado della Scala Beaufort (mare forza 12) arriverebbe a tanto. Per demolire la prima linea di costa e proiettarne i frammenti trenta metri più in là serve qualcosa di eccezionale. Qualcosa come un’onda anomala. I maremoti non sono una realtà tipica solo delle più vaste estensioni marine. Anche in un mare pressoché chiuso come il Mediterraneo può scatenarsi uno tsunami. E la Storia insegna che persino un mare piccolo come l’Adriatico non è stato risparmiato dal triste fenomeno. Da noi si conserva memoria solo della devastazione del 1627, quando un violento terremoto spinse l’Adriatico sino a San Severo distruggendo cose e causando la morte di circa cinquemila persone. Si dimenticano invece i maremoti che danneggiarono Brindisi nel 1667, la costa otrantina nel 1743, Siponto e Barletta nel 1731, la foce del Fortore nel 1889… Si deve alla forza apocalittica dell’Adriatico la presenza di questi scogli anomali, spesso disposti in serie, parallelamente alla linea di riva. Il più grosso di questi spicca a Torre S. Emiliano, tra Punta Palascìa e Porto Badisco ; si stima pesi settanta tonnellate. Una vera fortuna, allora, che tali devastazioni abbiano avuto luogo in aree all’epoca scarsissimamente antropizzate. Osservando l’immagine posta a corredo di queste righe, c’è da restare sgomenti all’idea dell’energia necessaria a sollevare un colosso di quelle dimensioni e scagliarlo lontano come farebbe un uomo con un sasso. Più che mai si impone alla memoria l’immagine di Polifemo che, accecato da Ulisse e da questo deriso, stacca da una montagna il cocuzzolo e lo indirizza verso l’unica nave con cui l’Eroe e i compagni superstiti stanno riprendendo il mare. Non  fece centro.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 30 Maggio 2014

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