Cultura e Spettacoli

Malconcio e ostinato, quel piccione viaggiatore

Il 10 agosto 1917 il marinaio di guardia alla colombaia della Base Militare di Brindisi vedeva avvicinarsi un piccione dal volo irregolare. Raggiunto a fatica il suo ricovero, la bestiola svelava una coda quasi priva di piume. Un miracolo che avesse potuto volare, forse anche a lungo. Una fascetta di riconoscimento stretta attorno ad una zampa consentiva di risalire all’unità di appartenenza, il W4, un sommergibile della Regia Marina ; l’altra zampa recava, vuoto, il minuscolo astuccio metallico preposto ad accogliere messaggi (all’epoca, malgrado ogni sommergibile della Regia Marina fosse dotato di radiotelegrafo, non si era perso l’uso di imbarcare piccioni viaggiatori, indispensabili in caso di guasto all’impianto elettrico e non meno preziosi sul piano psicologico per uomini costretti a vivere in condizioni claustrofobiche). Qualcosa doveva essere successo, non avendo senso liberare un piccione senza affidargli una comunicazione. Il W4 era atteso per il 16 dello stesso mese… Furono avviate ricerche, poi venne aperta un’inchiesta condotta dal viceammiraglio Camillo. Si venne a capo di nulla. E il mistero rimase irrisolto anche quando, a guerra finita, la Marina Austriaca mise a disposizione i propri archivi. Unica ipotesi ragionevole : il sommergibile saltò su una mina, probabilmente al largo di Cattaro o di Durazzo, verso le cui acque era partito in missione una settimana prima. Quanto al giorno del presunto affondamento, si può pensare allo stesso 10 agosto, considerato che un piccione per volare sino a Brindisi ci mette meno di quattro ore partendo da Cattaro e quasi tre da Durazzo. Veniamo adesso a come il piccolo volatile sfuggì alla morte, che invece toccò ai ventidue uomini dell’equipaggio, tutti insigniti alla memoria della medaglia di bronzo al valor militare. La salvezza del piccione segnala una cosa certa : il W4 non venne colpito mentre era in immersione. La torpedine, la cannonata o il siluro che lo mandò a fondo, lo colse mentre navigava in superficie. Il colpo, devastante, dovette aprire una voragine nello scafo. Forse, comprendendo che nessuno aveva scampo, con le ultime energie un marinaio liberò attraverso lo squarcio quel povero uccello. Col radio telegrafo fuori uso e il tempo ridotto a manciate di secondi non c’era altro modo di salutare per l’ultima volta e a nome collettivo il mondo dei vivi. Al quale gesto, meraviglioso, corrispose lo sforzo disperato di una bestiola uscita malconcia dall’esplosione, non di meno capace di volare per 150-200 km con la coda ridotta ad un moncone.  Aveva un nome quel colombo ? Si fosse chiamato Filippide come il messaggero che nel 490 a.C. corse da Maratona sino ad Atene per annunciare la vittoria sui Persiani, quel muto testimone di una tragedia si sarebbe spento tra le mani di un marinaio commosso.

 

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 7 Gennaio 2014

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