Cronaca

Mammia mia! esclamò l’astronauta

 

Il 30 luglio 1971 (ricorre oggi il 45esimo anniversario dell’evento) per la quarta volta l’uomo rimetteva piede sulla Luna. A fare la differenza fra l’Apollo 15 e le precedenti missioni fu l’impiego dell’LVR, acronimo di Lunar Rover Vehicole, uno speciale mezzo destinato al trasporto di campioni di terreno e degli astronauti. Malgrado ogni cautela in fase di progettazione, l’LVR fu ragione di non poche preoccupazioni. Poiché all’atto dell’assemblaggio lo sterzo anteriore si rivelò difettoso, si dovette ricorrere a quello d’emergenza, che agiva sulle ruote posteriori. Ciò rese la guida sull’accidentato suolo selenico ancora più problematica di quanto già ci si aspettasse. Data la bassa forza di gravità della Luna, che è un sesto di quella terrestre, il veicolo alla prima ‘EVA’ (missione extra veicolare) cominciò a procedere a saltelli, in più d’un’occasione avendo contatto col suolo su una suola ruota. Ciò suggerì agli astronauti nelle due successive ‘passeggiate’ di legarsi alle cinture di sicurezze di cui il mezzo era fornito e ritenute in partenza una precauzione inutile e di ridurre la velocità a quattro, cinque km orari. Fu durante una di queste escursioni che vennero pronunciate sulla Luna le uniche parole italiane : ‘Mamma mia!’. Ad esclamare così fu David Scott, uno degli astronauti, non si sa se per scacciare il magone di sobbalzi sempre ai limiti di un irreparabile ribaltamento o a causa, come si disse, della particolare lucentezza di una roccia. Perché poi proprio in italiano? Scott non è di origine italiana, né all’epoca aveva studiato la nostra lingua. Snobismo, forse. Allo stesso modo in cui un astronauta italiano sorpreso da qualcosa si lasciasse andare ad un : Mon Dieu!  L’uscita estemporanea di Scott non fu l’unica nota ‘tricolore’ della missione Apollo 15. L’emblema della missione (tre uccelli stilizzati, rappresentanti i tre membri dell’equipaggio, che volano sopra la superficie della luna) venne disegnato dal nostro Emilio Pucci. Dopo la morte di Pucci, avvenuta nel 1992, Alfred Worden, un altro membro di quell’equipaggio, avrebbe ricordato con affetto lo stilista italiano . “Ricordo che era ingegnere aeronautico e che amava volare…”. Worden non ricordava male. Ma non sapeva tutto. Che vita quella di Emilio Pucci, marchese di Barsento. In gioventù si dedicò allo sci brillando al punto da prendere parte alle olimpiadi invernali del 1936 a Partenkirchen in Germania ; nell’occasione, già appassionato di moda, ebbe moda di disegnare l’uniforme di squadra. Successivamente si appassionò all’aviazione, diventando uno tra i migliori piloti del suo tempo (decorato con tre medaglie d’argento al valor militare, fu un asso della Regia Aeronautica nella specialità aerosiluranti). Dopo l’8 settembre con la Fiat Topolino Balestra del padre accompagnò in Svizzera Edda Mussolini e i figli. Prima di rientrare in Italia, Edda (i due erano amici) gli chiese di far pervenire a Mussolini e a Hitler lettere nelle quali la donna minacciava di divulgare i famosi diari del marito, Galeazzo Ciano, se a questi fosse stato fatto del male. Tornato in Italia, Pucci consegnò le missive ai Comandi italiano e tedesco di Verona. Nel 1944 fu arrestato dalla Gestapo nei dintorni di Lecco e trasferito a Milano. Rinchiuso per nove mesi a San Vittore, Pucci venne sottoposto, invano, a torture : volevano che rivelasse dove erano finiti i diari di Ciano. Uscito dal carcere, riuscì fortunosamente riparare in Svizzera. Nel dopoguerra intraprese la carriera di stilista diventando una celebrità.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 30 Luglio 2016

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