Cultura e Spettacoli

Marcinelle, la carne da miniera

L’8 agosto 1956 a Marcinelle, in Belgio, nella miniera di carbone Bois du Cazier si registrava uno dei più grandi disastri minerari della storia. Morirono 262 minatori, 136 dei quali erano italiani. Tra gli italiani, 22 pugliesi. Tutta carne da miniera spedita a vagonate dal nostro governo nel rispetto di un protocollo che prevedeva l’invio in Belgio di determinati stock di minatori in cambio di partite di carbone necessarie alla rinascente industria italiana (nel 1956 su 142mila minatori impegnati nelle miniere del Belgio 44mila erano italiani). Fra i tanti omaggi che il mondo della cultura ha riservato a quegli eroi silenziosi ci piace ricordare quello di una celebre formazione di rock progressive nostrano. Era il 1969 quando la Fonit Cetra pubblicava un 45 giri dei New Trolls dal titolo ‘Una miniera’ (il brano venne poi incluso nell’album ‘New Trolls’ del 1970). Composizione dal testo struggente e dall’andamento che avvince, ‘Una miniera’ è stato il cavallo di battaglia dei New Trolls in concerto, almeno fino a quando Nico Di Palo ha potuto cantarlo da par suo. Chi abbia avuto la fortuna di ascoltare dal vivo ‘Una miniera’ (di cui esiste anche una cover di Antonella Ruggiero) sarà rimasto colpito dal particolare vigore interpretativo di Di Palo. Ogni volta che cantava quel brano lui si emozionava, ebbe a confessare una volta, perché gli procurava particolare dolore il pensiero di quei 22 pugliesi. Un sentimento che si spiega con le origini di Di Palo, il quale è nato sì a Genova, ma da madre sarda e padre pugliese (di Canosa). Inutile dire che l’ex chitarrista/vocalist rientra tra gli autori di ‘Una miniera’ insieme a Vittorio De Scalzi, Giorgio D’Adamo e Gian Piero Reverberi. E veniamo alle parole. A cantare è un minatore morto. Dal suo ‘altrove’ ricorda. Ricorda il carbone che “dipingeva di nero il mondo” e l’assenza di luce : “Il sole nasceva ma io non lo vedevo mai laggiù, era buio” (è il caso di notare che il lato B dello stesso microsolco s’intitola ‘Il sole nascerà’…). Nell’oscurità rischiarata dalla torcia frontale applicata all’elmetto non c’è voglia di parlare, il solo suono in quel silenzio squallido è quello “di una  pala che scava, che scava”. Si lavora e si muore dentro (“Le mani la fronte hanno il sudore di chi muore / negli occhi nel cuore c’è un vuoto grande più del mare”). Unico conforto è il pensiero di una donna, “il viso caro di chi spera questa sera come tante in un ritorno”, una donna felice “di rivedere le mie mani, nere di fumo, bianche d’amore”. Ma poi arriva la tragica alba : “Un sordo fragore ferma il respiro di chi è fuori / paura terrore sul viso caro di chi spera / questa sera come tante in un ritorno”. Il Minatore Senza Nome sorride dall’Altrove alla sua donna, ma “non poteva il mio sorriso / togliere il pianto dal tuo bel viso”.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 8 Agosto 2015

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio