Cultura e Spettacoli

Mario, fanti o somari

A giugno di due anni fa, sul palcoscenico del Bravò, andava in scena ‘Altrove’, un intenso ed applaudito monologo ricavato da ‘Pane e amianto’ di Giuseppe Armenise ; una riduzione ad opera di Alessandra Lanzilotti, che dirige Mino Decataldo. Lo stesso spettacolo è stato in cartellone al Nuovo Abeliano la scorsa settimana. Il rinnovato successo di questo felice allestimento ispira un interrogativo che riguarda il protagonista di questa storia : Il povero Mario corona il sogno del posto fisso, può lavorare alla Fibronit, lasciare campagna e paese per venire a vivere in città, riempirsi di debiti per comprarsi la casa, la 500, gli elettrodomestici. Può tutto. Attenzione però, la sua è una scelta apparente. A forzargli la mano, a plagiarlo verrebbe da dire, è il bisogno – indotto ad arte dalla neonata tv – di integrarsi nel nuovo corso di una piccola Italia rilanciata dal boom economico. Poi il Sistema getta giù la maschera.  Dopo aver presentato il conto ad altri compagni di lavoro, i guasti dell’amianto bussano anche alla porta di Mario, che si ritrova irrimediabilmente solo. Di qui un dolore contagioso cui un toccante Decataldo dà voce. Un dolore la cui dimensione travalica il caso personale. E veniamo all’interrogativo di partenza, chi è Mario?… Rappresenta l’ennesimo ‘caduto del lavoro’, un’altra unità produttiva senza fortuna, un ulteriore vinto’ di verghiana memoria? Il limite di certe formule è la tendenza a sconfinare nella retorica di lapidi, targhe, monumenti e discorsi di circostanza. Cose, queste, che strappano alla loro ombra gli eroi silenziosi del lavoro per farne strumento di denuncia ipocrita e improduttiva. Sarebbe piuttosto il caso di avvicinare Mario e ‘compagni’ ad altre figure. Ricorrendo il primo centenario del secondo anno di partecipazione dell’Italia alla Grande Guerra vengono in mente braccianti semi analfabeti del Mezzogiorno costretti ad abbandonare il pur duro lavoro dei campi per impugnare un fucile. Innocenti trasformati in guerrieri grazie ai primi psicofarmaci e mandati allo sbaraglio sulle linee del Carso e dell’Isonzo gridando Savoia! Poveri fanti senza conforto, salvo quello portato da pazienti somari sovraccarichi d’armi, munizioni e vettovaglie, camerati fedeli, insostituibili, onnipresenti. Carne da cannone i primi, carne da tavola i secondi quando non fossero più stati in grado di reggersi sulle zampe. Fanti o somari, ecco il problema, a chi equiparare Mario e compagni? Non fa differenza. Così come ancora nella prima metà del Novecento non esisteva differenza tra cafoni pagati un pezzo di pane e asini legati alla macina di un trappeto. Mario è carne da progresso, da sviluppo, da benessere. E’ carne indispensabile a produrre più di ieri e meno di domani. Ma è pure carne che riveste un’anima. Mario è un uomo.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 24 Febbraio 2016

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