Cultura e Spettacoli

Mario Matera, l’artista che conferisce senso all’insostenibile superficialità dell’essere

Per conoscere bene le cose, bisogna conoscerne i particolari: e siccome questi sono quasi infiniti, le nostre conoscenze sono sempre superficiali e imperfette.” Diceva François de La Rochefoucauld. Ma spesso è proprio da un particolare che si mette a fuoco l’intera esistenza, può diventare l’unico canale sensoriale conoscitivo che la

memoria interiorizza di un volto, in un’epoca così distratta e superficiale come la nostra, in cui tutto scorre talmente in fretta da lasciarci un senso di confusione e inafferrabilità. Come accade nelle opere di Mario Matera, esperto di comunicazione e marketing, art director di un’agenzia pubblicitaria andriese, la Mario Matera Group, esposte in prestigiose gallerie italiane, tra Firenze e Capri. Nelle opere di Matera sembrano fondersi amore per la classicità, pregevole talento ritrattistico, senso plastico, apertura mentale e intuito per l’innovazione contemporanea.

Quando hai iniziato a dipingere?   

“Tutto è iniziato a undici anni, quando per la prima volta mi sono imbattuto nel dipinto di Velasquez ‘ il venditore d’acqua’. Ne rimasi così affascinato da decidere che volevo assolutamente imparare a dipingere l’acqua. Ero incuriosito dal modo in cui sulla tela poteva essere realizzato qualcosa di liquido attraverso i colori e la mano del pittore. Quella è stata la prima volta che mi sono cimentato con i colori ad olio, iniziando poi a studiare con tanta passione varie tecniche pittoriche. Per molti anni ho studiato grafica e illustrazione, lavorando in questo settore, soltanto dopo gli studi in informatica ho iniziato a frequentare l’Accademia di Belle Arti, desiderando approfondire la mia passione per la pittura.”

Sappiamo della tua grande ammirazione per Bacon e Caravaggio: quanto ha influito nella tua pittura lo studio dei classici?

“Come diceva Picasso, le regole bisogna conoscerle per poi poterle infrangere, credo sia assolutamente imprescindibile per un artista conoscere e studiare le tecniche dei gradi del passato: di Caravaggio ho divorato tutto, cimentandomi perfino in una riproduzione di una sua opera, per uno studio accademico. Egli ha fatto nel 1600 ciò che la fotografia fa oggi, riproducendo esattamente la realtà con la sua luce e colori. Ho usato esattamente ciò che si usava a quei tempi: per esempio colla di coniglio e gesso di Bologna, realizzando completamente a mano l’imprimitura e i colori naturali. Dopodiché ho intrapreso un percorso di ricerca individuale fino ad arrivare alla peculiare modalità espressiva che caratterizza le mie opere. Adoro Bacon come anche Mondrian che fu un grande ricercatore dello spazio e dell’equilibrio, con le sue opere ha anticipato un’era. Amo anche lo stile di Burri, mi piace spaziare dal figurativo all’astratto. Questo amore per generi diversi forse confluisce nella realizzazione delle mie opere.”

Quale tecniche utilizzi? 

“Le mie creazioni sono una sorta di incontro tra pittura e scultura, poiché hanno una componente anche molto materica. Le imprimitura delle mie tavole passano attraverso varie fasi utilizzando materiali diversi: cemento, colle, polvere di quarzo. I miei quadri sono molto spessi e materici prevalentemente su tavola e occasionalmente su tela”

Nei tuoi quadri si raffigurano spesso volti indistinti da cui emerge solo un particolare ben definito, cosa rappresenta tutto questo della tua poetica?

“Nel momento in cui realizzo l’imprimitura già vedo il soggetto. Spesso si tratta di volti che nascono dalla mia fantasia, più che da modelli reali. Dal punto di vista visivo io cerco di scarnificare le figure. Non serve entrare in una dettagliata riproduzione del reale, sono figure create dalla mia mente. Mi piace molto l’idea di guardare al di là di ciò che appare, andando più in profondità alla ricerca di una pittura che attraverso un solo elemento possa dare il senso del tutto. Avviene una sorta di sgretolamento dell’essere umano. Nella nostra società sono rari i momenti in cui si riesce ad andare oltre la superficie. Capita di incontrare tanta gente di cui non ricordiamo nemmeno i lineamenti, o che non arriviamo a conoscere per nulla. Nei miei ritratti bisogna allontanarsi due metri per riuscire a cogliere la figura umana, che da vicino può sembrare soltanto un insieme di chiazze indistinte. In un certo senso questo è anche un invito a guardare oltre, con più profondità e riflessione.”

Pensi che le caratteristiche della nostra epoca possano determinare una sorta di morte dell’arte?

“Non sono cosi estremista, penso che l’artista debba comunque rappresentare la propria epoca. Sicuramente sono in pochi quelli che fanno vera arte, la superficialità e l’approssimazione dilagano oggi, ma riesco ad apprezzare anche forme d’arte contemporanea più estreme come la performance. Ritengo che qualsiasi modalità d’espressione in grado di toccare certe corde emotive dell’animo umano possa essere considerata arte, indipendentemente dal modo in cui si realizzi e dalle particolari capacità o competenze di ognuno.”

 

Rossella Cea


Pubblicato il 4 Marzo 2022

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