Metone, nessuno è profeta in patria
E’ ben noto che nel 281 a.C. i Tarantini per contrastare Roma chiesero aiuto a Pirro. Al suo arrivo, sottoponendo la ricca città a dure restrizioni giustificate dallo stato di guerra, Pirro gettò subito la maschera, svelandosi per quella che era : non un disinteressato amico, bensì un opportunista che nella debolezza dei tarantini aveva individuato l’occasione di allargare il proprio dominio dall’altra parte dell’Adriatico. Ma già prima che delegazioni tarantine partissero alla volta dell’Epiro, qualcuno, avendo fiutato il pericolo, aveva cercato di aprire gli occhi ai propri concittadini. Nel capitolo dedicato a Pirro del suo ‘Vite parallele’, Plutarco riporta l’episodio di Metone, aristocratico tarantino ‘dissidente’. Racconta lo storico greco che questo personaggio, non trovando ascolto, escogitò un autentico colpo di teatro : Si presentò in Assemblea, che si svolgeva in uno dei due teatri attivi a Taranto in quel periodo, come chi esca da un simposio. Ornato di una corona di fiori appassiti, reggendo una fiaccola, Metone si fece introdurre da un flautista. Quindi, simulando difficoltà nel mantenere la stazione eretta e la parola sciolta, si abbandonò a un monologo nel quale i tarantini venivano esortati a godere degli ultimi giorni di libertà prima dell’arrivo non di un liberatore ma di un nuovo padrone. Dopo aver avuto breve ascolto, l’eccentrico aristocratico venne cacciato in malo modo. A questo punto Metone scompare dalla scena, non se ne sa più nulla. Plutarco ci lascia in preda al dubbio : Chi fu Metone, un povero istrione o l’ennesimo profeta in Patria spinto dall’amore per la propria terra a una mascherata? Menico Caroli, dell’Università di Foggia, si occupa di questa figura nel corso di un breve saggio a proposito dei teatranti della politica nella vita di Plutarco contenuto in ‘Puglia Mitica’ (AA.VV., Levante, 2012). Il cattedratico foggiano giunge alla conclusione che Metone fu “un attore animato da buoni intenti, ma minato da un’ingenuità che non gli permette di accettare il destino di una città ormai avviata all’assoggettamento, greco o romano”. La conclusione ci pare riduttiva. Metone non poteva essere un nobilotto ingenuo e stravagante, incline alla teatralità e all’esibizionismo. Disgustato dalla pochezza dei propri concittadini e ben consapevole dell’inutilità di qualunque predicozzo mirato al ravvedimento, Metone sceglie l’arma dell’ubriachezza simulata per meglio dar la baia a un popolo che proprio nel vino annega quella mancanza di buon senso che lo spinge ‘ingenuamente’ nelle fauci di Pirro. Il suo è un gesto di dissidenza ironico, sottile ed elegante. Ovvio che l’incompreso Metone venisse allontanato dall’Assemblea subissato da fischi, pernacchie e risatacce. Chissà quanti rimpiansero di non avergli dato ascolto quando Taranto, già oppressa da Pirro in guerra, dovette nel dopo guerra patire l’ira di Roma.
Italo Interesse
Pubblicato il 18 Gennaio 2013