“Metteva sbuffi come un balenottero”
In un suo articolo intitolato ’Pregiudizi pugliesi’ e pubblicato sul numero IV della Rassegna Pugliese del 1887, Giuseppe Chiaia, uno studioso nato a Rutigliano, riferisce l’ameno caso occorso al milanese Giovan Battista Quinzato, vescovo di Polignano e scettico a proposito di tarantismo. Il suo racconto è rielaborazione di una breve notizia riportata da Epifanio Ferdinando, scrittore pugliese del Seicento. Scritto tra il serio e il faceto, il racconto del Chiaia fa del tarantismo il pretesto per esprimere con brio letterario un sentimento scopertamente anticlericale: “Venuto giù da noi da una provincia subalpina immune da codesti morbi misteriosi… considerato che nell’affare de’ balli frenetici e scollacciati… poteva ben entrarci… sotto specie di aracnide una maggiore bestia (Satana!).. un bel giorno di luglio pensò…. farla finita col malvezzo pugliese”. Perciò, fece chiamare un “terrazzano” perché gli portasse un canestro di ragni, “di quelli reputati più malvagi”, dopo di che in presenza dei maggiorenti del paese si fece applicare quegli aracnidi dal suo barbiere “come un largo sanguisugio dietro la schiena, sulle braccia e sul petto… e lui calmo e sorridente come Daniele nella fossa”. Ma passò l’Angelo, dice il popolo, e disse amen. In pochi minuti sulla cute del religioso apparve “una chiazza rossa orlata di bruno” accompagnata da insostenibile bruciore. Una di quelle bestiacce aveva lasciato il segno. “Monsignore alquanto turbato chiede linimenti e s’adagia nel letto”. La Curia va sottosopra e vengono chiamati medici a consulto, ma non c’è balsamo, cataplasma o tisana che tenga. Per il resto del giorno e della notte appresso i dolori aumentano, “sopravvengono strozzamenti, deliqui e furori”. Addirittura il Quinzato “fa a sbrendoli le lenzuola… a tutto scapito della sua ambrosiana austerità”. La notizia fece il giro del paese, “il contadiname, gli sfaccendati, ghignando, pispigliando per le botteghe e per le piazze, tratto tratto gridavano; Se non balla muore!”. In breve sotto il palazzo vescovile si raccolse la cittadinanza “come alla vigilia di una rivolta”. All’alba del terzo giorno il vescovo si arrese: “Raccolte le poche residue forze vitali, levatosi di letto camicia e brache disse : Suonatemi!” Messi assieme un chierichetto col piffero e un frate conventuale di San Vito a Mare con la mandòla, si cominciò a far musica. “Dagli allora il presule, ritto come un pino, a prillare in punta, punta e tacco, a spiccar salti come un giovane cavriolo, su e giù per la vasta scala dell’Episcopio, braccia tese in alto e dita schioccanti. Più si soffia e pizzica gl’istrumenti, più incalzano le note armoniche… gocciolava com’uno uscito dal pelago alla riva, metteva sbuffi come un balenottero”. Dopo la “scalmana” il vescovo si riebbe “e da quel giorno nefasto tenne in alto conto il malvezzo pugliese”
Italo Interesse
Pubblicato il 1 Febbraio 2019