Cultura e Spettacoli

Michele Scoto, l’ambiguo vaticinio

Personalità poliedrica, Federico II teneva in gran conto le arti e le conoscenze esoteriche. Particolarmente curioso era di astrologia. A corte aveva più di un astrologo, oltre a essere in contatto con i più grandi esperti del settore. Uno di questi fu Guido Bonatti. La tradizione gli attribuisce l’osservazione dall’alto della sua torre di Forlì di una singolare congiunzione astrale che gli permise di vaticinare una congiura con cui Papa Innocenzo IV mirava ad assassinare Federico. Certamente l’Imperatore dovette ricordarsene quando, nel dicembre del 1250, durante una battuta di caccia nelle campagne della Capitanata venne colto da un malore così improvviso e violento da indurre anche gli uomini del seguito a considerare l’ipotesi dell’avvelenamento. Forse si trattava d’altro (peritonite, un’infezione intestinale, un infarto..), tuttavia il sospetto era ragionevole considerando il numero e il peso dei nemici dell’Imperatore. Poiché le condizioni si erano subito fatte gravi, non essendovi il tempo di raggiungere il Palatium di Lucera, si dovette ripiegare sul borgo fortificato di Fiorentino, località oggi scomparsa e allora collocata nell’agro di Torremaggiore. Se Federico era ancora lucido mentre faceva ingresso in quel borgo,  dovettero tornargli in mente le parole di un altro astrologo, Michele Scoto. Questo filosofo scolastico nonché alchimista, nato in Scozia nel 1175 e morto diciotto anni prima di Federico, ne fu oltre che il traduttore personale (tradusse lui l’Animalibus Abbrevatio di Avicenna che poi l’Imperatore utilizzò per il suo celebre ‘De arte venandi cum avibus), soprattutto l’astrologo di fiducia. In una delle sue opere, ‘Vaticinium’, Scoto aveva predetto che Federico II sarebbe morto “… ne lo loco che abet lo nome de flore”, cioè in quella località il cui nome richiama la parola fiore… Se è vero che per questo motivo Federico si tenne sempre lontano da Firenze, il vaticinio di Scoto gli fu inutile. L’eco di quel vaticinio fu tale che meno di un secolo dopo Dante ‘condannò’ l’astrologo scozzese alla bolgia degli indovini, non senza tuttavia riconoscergli la sua abilità : “… Michele Scoto fu che veramente / de le magiche fronde seppe ‘l gioco” (Inferno, canto XX). La quasi fulminea morte di Federico innescò un delirio di sospetti che andò ben oltre la sensata tesi del complotto ordito dalla Chiesa e andato a segno per mezzo di vino o pietanze avvelenate. Si disse persino che ad uccidere l’imperatore fosse stato il figlio Manfredi, che poi gli successe in Sicilia ; esiste infatti una nota miniatura che raffigura Manfredi nell’atto di soffocare il padre col cuscino.

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 24 Luglio 2012

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