Primo Piano

Migranti in viaggio: dal capannone alla casa accoglienza ‘Villa Ata’ di Palese

Sono stati trasferiti dalla ex fabbrica Set alla struttura denominata ‘Villa Ata’ a Bari Palese 55 migranti che prima ancora erano stati ospitati nel complesso di Santa Chiara.  Villa Ata e’ uno dei tre immobili individuati a seguito dell’avviso pubblico relativo all’offerta di un servizio di accoglienza notturna a bassa soglia per persone in situazione di estrema poverta’. Le operazioni di identificazione e trasferimento sono state coordinate dalla polizia municipale con la supervisione di Prefettura, Questura e carabinieri. Il trasferimento si e’ svolto con la collaborazione degli stessi migranti, grazie anche al lavoro di mediazione realizzato nell’ultimo mese dagli assistenti sociali dell’ufficio Immigrazione del Comune di Bari. Per il trasferimento dei migranti sono stati utilizzati quattro mezzi dell’Amtab. I migranti, informa il Comune di Bari, si sono impegnati “al rispetto di un patto di convivenza che regola l’utilizzo della struttura, che sara’ gestita dall’associazione Help, vincitrice dell’avviso pubblico, in stretta collaborazione con gli ospiti del centro”. Insomma tutto procede come previsto, per i circa cento migranti dal capannone dell’ex Set del rione Libertà in una casa-accoglienza riadattata, a Palese, dopo l’ultima conferenza di servizi relativa, appunto, al coordinamento degli interventi contemplati nell’ordinanza sindacale che disponeva il trasferimento dei migranti.

Un trasferimento che al Comune stanno curando nei minimi dettagli, per non incappare in altre critiche feroci come quelle di alcuni mesi fa, provenienti da una organizzazione umanitaria a livello nazionale che aveva letteralmente parlato di ‘vergogna’, a proposito di come venivano ospitati i migranti a Bari. E così nel corso dell’incontro tra dirigenti comunali e prefettizi di un paio di settimane fa si è stabilito di supportare i migranti in ogni aspetto del trasloco nella nuova sede alla periferia nord della città, compatibilmente con quanto stabilito nel “patto di convivenza”, un documento elaborato con i migranti stessi nel corso di una serie di incontri, effettuati presso gli uffici comunali e l’ex Set, in cui sono state definite alcune norme a tutela della sicurezza dell’immobile e degli ospiti. Dunque, si chiude finalmente l’esperienza dell’accoglienza nel capannone al confine del rione Libertà per i cento migranti che dovranno tra sei mesi al massimo essere trasferiti definitivamente nei ‘moduli’ costruiti dal Comune vicino alle piscine comunali. Tuttavia, come già prevedono alcuni volontari da sempre al loro fianco, questi tempi potrebbero realisticamente slittare, tenendo conto che i tecnici comunali –dopo la gara celebrata l’estate scorsa per la fornitura dei miniappartamenti mobili appaltata a una ditta di Massafra – non hanno ancora previsto e tanto meno iniziato i lavori per allacci e opere primarie che dovranno essere svolti prima di impiantare questi nuovi moduli, o container che dir si voglia. Una decisione che, però, i migranti non hanno mai visto di buon occhio, rilanciando ad ogni piè sospinto quella del riuso degli immobili abbandonati. Per esempio, il mercato coperto di Poggiofranco, ma anche alcuni immobili che le speculazioni dei grandi costruttori preferiscono, ovviamente, tutelare in altro modo. Poi ci sono da affrontare i problemi delle presunte conflittualità con i residenti di Palese, anche se si tratta di giovani migranti che mai hanno “dato fastidio”, rimarcano i portavoce dei migranti baresi. Ma la proposta del Comune irrevocabile, a quanto pare, rimangono i cinquanta+quattro container – servizi compresi – per migranti e profughi ospitati a Bari, in un confronto sulla seconda accoglienza che neppure in Consiglio Comunale è mai riuscito ad approdare, a dimostrazione di quanto conti la politica con la ‘P’ maiuscola in questa Città. Un confronto che però non i potrà rinviare a lungo e che in ogni caso si preannuncia più serrato e acceso del previsto, nonostante la strenua cura dei dettagli per traslocare valige e borsoni di un centinaio di giovani rifugiati extracomunitari. Magari per capire bene, ripetiamo, quale differenza passa tra una casa, un rudere e una ‘gabbia’ chiamata container….o ‘modulo’ che dir si voglia.

 

Francesco De Martino

 

 


Pubblicato il 21 Aprile 2016

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio