Cultura e Spettacoli

Minima Moralia (Meditazioni sulla Vita Offesa. T. ADORNO) (11)

Stamane,17 giugno 2019, M’è capitato di accendere la mia radiolina, captando, per sbaglio, un programmino di musica leggerina, mentre  trasmetteva la canzoncina ” Tutto il resto è noia” di franco califano, dallo stesso autore, diciamo, cantata. Ho, subito, spento il mio domestico accessorio, ché IO Ascolto Musica, senza aggettivazioni. Comunque, Rimando alla fine di questo mio Scritto  la Motivata Esplicazione del perentorio mio Gesto di Disattivare la radiolina, ché il fu califano, come mille e mille altri suoi sodali, non MI rompesse i timpani con le sue modestissime note, incastonate nel banale “giro di do”. Invece, MI Preme Fornire ai miei 25 Lettori e ai miei Amici cibernetici, vicini e lontani, la Notizia, l’interessante “Scoop”, forse, che il famoso: “Tutto il resto è noia” dell’operina califaniana negli anni diventato un tormentone, volgarizzato “in/ab omnibus oribus”, fu da califano copiato da Leopardi, addirittura. Califano raggranellò molti sesterzi, seppure, qua e là, peripateticamente, dissipati, con  quel verso, che nobilitava tutta le sua composizioncina, diciamo, mentre il Grande Giacomo, pur col suo”Infinito” e con Tanto Altro, Poeticamente, Sublime, per Campare, dati i suoi rapporti non proprio idilliaci con “mammà e papà”, per la sua Visione del Mondo, assolutamente, Incompatibile con la parrucconeria cattolica della genitrice, fu Costretto a Chiedere Ospizio in napoli all’ amato amicuncolo, conte francesco ranieri che, alla Morte del “Cigno” di recanati, Lo sputtanò, bellamente, col suo losco libello “Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi”. Ma Torniamo al Nostro Giacomo, che il 30 aprile del 1817 in una Lettera all’Amico e Confidente, Pietro Giordani, così, Scrisse, tra l’Altro: ”… Cosa vi è di bello in Recanati che l’uomo vi cerchi di vedere e d’imparare? Niente! Qui l’unico divertimento è lo studio. Tutto il resto è noia!”. Dunque, perché, agli albori di un altro giorno, da aggiungere ai tanti giorni già vissuti, ho spento la mia radiolina, appena ho avuto sentore che i miei timpani stavano per essere invasi da califano? Perché la Cultura Classica, cioè, la Cultura Greco – Romana, Opponeva  gli stolti (stulti) ai Sapienti (Sapientes). Infatti, non sono stati, forse, stolti i segugi di vasco rossi, che partoriti dalle più diverse e feconde di essi italiche glebe, hanno riempito una nave, diretta in sardegna, ché il mito, di loro degno, avrebbe elevato a canto(???) le “sue bustine di vita spericolata”, tra i “nuraghe? Il Sapiente Poeta Orazio (Odi, 1,1), giustamente, con la puzza al naso, Allontanava, Escludeva dalla sua Visione, Percezione, Stima, tra alcuni altri, l’atleta (IO, che nel mio Piccolissimo Sono Poeta, Includerei, anzi Includo, tra coloro che irritano il mio naso con i loro sottoculturali miasmi, gli stolti in fila ai botteghini degli stadi, ansiosi di spendere i loro denari, per catturare, oggi, lo spettacolo di 22 bellimbusti in mutande, strapagatissimi, che per 90 minuti, vicendevolmente, si riempiono di manate, gomitate, pedate, sgambettate, sputate); il Sapiente Seneca (La brevità della vita,12sg.) irrideva, tra gli altri, lo sportivo, il capellone, l’abbronzato, il fanatico di canzoni. Ecco il fanatico di canzoni! Per non avere niente da spartire con i fanatici di canzonette, magari in tanti a quell’ora sintonizzati su quel programmino ”rai”; per Disporre, in qualsiasi momento  del mio”ESSE”, il mio Apparato Uditivo, la mia Sensibilità al Libero Rimembrare nella mia Mente de “l’Inno alla Gioia” dalla Nona di Beethoven, ho, radiofonicamente, zittito il fu califano. Essere sul Punto di Contemplare l’Idea della Bellezza, Punto Detto Sublime, Significa avere Capito che la più Alta Eticità del nostro Vivere Si Può Realizzare, solo Tendendo ad Esso, contestualmente, Disprezzando i piaceri, che si possono provare con la fruizione di ciò che è medio, mediocre, se non brutto, ossessivamente, dati in pasto alle masse dai “media”, ché rimangano “folle”, non “ Civium Populus” responsabile, levi nel transumanare da un tribuno all’altro, da un aspirante despota a un altro, se l’altro è  più capace del  primo, con una scarica di “petizioni di principio”, di “slogan” , di sommuoverne  la sollecita avidità, avarizia,  prese a irrinunciabile modello esistenziale dalle classi egemoni, che le tengono in sudditanza. Mc Luan Diceva che il “mezzo è il messaggio”, finalizzato, IO Allego, all’incretinimento delle masse, a rendere in esse tutti gli uni simili nell’ essere, ancor più, ”lupi aliis”. In recanati,  Puntualizza il Grande Giacomo,  “… l’unico divertimento è  lo studio”. Ho, spesso, Ripetuto che   Rivolgerci alla Radice Nobile, alla Derivazione Nobile dalle Lingue Classiche,  la Greca e la Latina, delle Parole, in lingua italiana, che usiamo, Sarebbe, E’ Mettere la Barra Dritta  per, almeno, Contemplare l’Idea dell’Uomo, che non s’è, giammai, Realizzata. Nella Radice, nella Derivazione Greca  e Latina delle parole  che, comunemente, usiamo, Sta la”Verità” del loro Significato, al quale dovremmo Improntare il nostro agire,  le nostre relazioni interpersonali. “Verità”, che è stata, irrimediabilmente, oscurata, se non cancellata, dai traslati  in altri contesti culturali o, addirittura, sottoculturali, politici, sociali, a cui le Parole Greche e Latine, Madri di molte Parole Italiane, sono state sottoposte e, eticamente, svilite. Un esempio: nel Mondo Classico la Virilità  non sarebbe stata  una prerogativa del  genere maschile, se  il mondo femminile, tranne rarissime eccezioni, fosse stato, politicamente, coinvolto nella Storia politica, economica, sociale, culturale delle comunità di appartenenza. Le femmine o erano custodi del focolare domestico o erano prostitute e, forse,  impegnata in questa antica pratica, qualcuna di esse poté essere fattrice di qualche contributo allo svolgersi delle alterne vicende delle umane sorti. I maschi erano: àntropoi  o Sophoi (nella Lingua Greca), homines o Viri (nella Lingua Latina). Rari Erano gli àntropoi che si Elevavano alla Saggezza, Rari Erano gli homines che Formavano il loro Carattere, avendo come Faro la”Virtus” (Perfezione Morale, anteposta alla perfezione fisica, Perseguimento del Sommo Bene, spesso, identificato con la felicità e la prosperità di roma, qualità oratorie, buona Tempra) per cui Erano Chiamati ”Viri”e, quindi, qualificati”Virili”. Col tempo la “virilità”, inabissandoSi la Cultura nella Natura, s’è dissolta nello spessore, nei centimetri, nella funzionalità dell’organo genitale maschile e chi avesse posseduto, chi possedesse genitali di tal fatta esaltato, portato sulla bocca di tutti, come ”virile”. Le umane sorti Progressive? Dal punto di vita tecnologico, dal punto di vista dello sviluppo economico, ma  non per tutti i viventi sulla terra, non dal Punto di Vista Etico, ché gli uomini  sono stati, sono usi a recitare: ”Ama il prossimo tuo, come te stesso”, ma non ad Amare, forse, neanche se stessi, se è vero che con irresponsabile disinvoltura stanno distruggendo la loro Casa. La parola  “divertimento”, di cui Gode, unicamente, Leopardi in recanati, deriva dal Verbo Latino: ”Devertere, volgersi dalla propria via, volgersi altrove, fare una diversione o digressione”, ovviamente, se con lo Studio, come quella di Leopardi, positivamente. Cioè, dall’”Animal al Vir;” dall’”istinto alla Ragione”, dalla prosa di una vita, come tutti la vivevano a recanati, noiosamente, routinaria, fatta di chiacchiere pettegolanti, alla Poesia, che Genera il Pensiero dell”Infinito” e da Esso il Naufragare nell’Infinito, oltre i confini degli uomini di frontiera.  Se, Ripeto, con lo Studio, che ha tanti Significati, Alcuni dei quali Ineludibili, come Amore, Passione, Attenzione, Curiosità ”Pro Ipso Viro atque Pro aliis”.

 

L’ ”inno di mameli”, che nel 1946 diventò l’”inno” della repubblica italiana, nata dalla resistenza, non MI ha fatto, giammai, impazzire, non MI ha, giammai, commosso, anzi, Ritengo sia stato un grave errore da parte della nuova (nuova nelle persone, nelle maschere, non nuova nella visione del mondo, tanto è vero che dal fascismo, dal regime fascista e, prima ancora, dal risorgimento, impregnato di vieto liberismo mercantile, introduceva nella cosiddetta italietta antifascista una sovrastruttura di disvalori pseudoculturali, organica alla vecchia struttura economica, fatta di tutti i miasmi linguistici, di tutti gli slogan, dei “mantra”, dei tormentoni della coralità imperialistica) classe dirigente l’avere elevato a espressione del sentire di tutto un popolo le parole  dettate da quelle classi ammanigliate con gli ambienti guerrafondai, i cui tentacoli, dal piemonte e dalla casata regnante in/su di esso, serpeggiavano in/per tutta la penisola. “ L’italia s’è desta”? ”Dell’elmo di Scipio, s’è cinta la testa”?”Dov’è la vittoria? Le porga la chioma, che schiava di roma iddio la creò”? Assolute idiozie! Quale italia s’era desta? Se  le masse del regno delle “due sicilie” poltrivano nella rassegnata miseria, in cui le costringevano l’avara, cieca meschinità dei baroni; se l’analfabetismo nel nord, pur già opulento, e nel centro e nel sud riguardava 80%  e oltre della popolazione; se la “pellagra” inseminava di morti la penisola, dal momento che gli ultimi di/in essa si cibavano, esclusivamente, di farinacei al sud e di polenta al nord? Quale italia s’era desta, risorgeva, dal momento che l’unità d’italia interessava, esclusivamente, alla vecchia aristocrazia del nord e del sud: la seconda scesa a patti e a sponsali (vedere “Mastro don Gesualdo” di Giovanni Verga) con la retrograda grossa borghesia agraria del sud; la prima,già, armeggiava con la rampante borghesia industriale del nord, metallurgica e siderurgica, progettando guerre, ove sarebbero state smaltite le armi che la sodale avrebbe prodotto, grazie alle pubbliche commesse. Le masse non erano, neanche, in grado di comprendere in cosa consistesse l’unità degli italiani, dal momento che neanche tra diseredati, ed erano in tanti, c’era esistenziale solidarietà d’intenti ed era fuori di ogni loro possibile sognante visione sentirsi all’unisono nell’azione risorgimentale con coloro che le schiavizzavano.   Quale  losca “paideia” si voleva indurre, per mezzo di un inno tronfio di linguaggio d’odio, perfino, nelle nuove generazioni, se non che esse coltivassero le medesime insane fisime dei loro padri, inetti nel guardare avanti, al futuro, “opitime manebant” nel culto di una roma, che nei quasi mille anni della sua storia non aveva punto pensato di chiudere le porte del tempo di giano, il dio della guerra, che l’aveva creata, ché una classe di ladroni, dagli spermatozoi lesti nel rimpinguarla di nuove leve, portasse a perfezione il sistema schiavistico nei territori intorno al bacino del mediterraneo, a nord, ad est e ovest dell’europa, sì che l’impero romano, dall’inizio dell’avventura di roma dal lazio agreste alla conquista della italica penisola e, poi, oltre, oltre, al passo dell’oca delle sue sanguinarie legioni, affamate di lauti bottini da depredare a genti conquistate, vinte, soggiogate, brutalmente, sottomesse, fu una costruzione sociale, politica, economica in cui poche  migliaia di grassatori godevano della ricchezza prodotta di milioni di vinti e, quindi, di schiavi? L’”elmo  di Scipio? Era l’elmo del rappresentante di una famiglia romana, mallevadrice della conquista del mare mediterraneo, su cui le navi romane dovevano competere con cartagine, altra potenza del tempo a vocazione imperialistica, e vincerla, ché ogni approdo su qual mare, doveva costituire l’approdo  delle merci in  territorio romano, da dove l’urbe doveva succhiare novella linfa, da versare, dopo luculliani conviti, nelle sue latrine, per fare ricominciare, diuturnamente, le infami gozzoviglie dei suoi patroni. “Dall’ Alpi a Sicilia Dovunque è Legnano, ogn’uom di Ferruccio ha il core, ha la mano” Sarà stato un”lapsus mentis o linguae” del compositore del testo dell’”inno”(La musica, si fa per dire, fu composta da michele novaro),  di nome gotifredo mameli dei mannelli, detto goffredo mameli, discendente da una nobile famiglia sarda (Insomma, come ti giri e rigiri, caro mio Lettore, nobili e borghesi furono i più intraprendenti protagonisti del risorgimento, stagione della storia italiettina, che non determinò alcun risorgimento etico, politico, economico, culturale di un popolo che, tra l’altro, spiritualmente,  non fu mai popolo; che, solo, con l’avvento della televisione e l’arrembaggio sugli ignari peninsulari indigeni dei “media”, linguisticamente, s’omologò a un linguaggio piatto, che non Alimentava la Comunicazione Interpersonale; privo di Capacità di Indignazione nei confronti di chi lo spadroneggiava), ma è indubitabile che il verso”Dall’Alpe a Sicilia” esprima il progetto dei una cricca di malfattori nordisti che, approfittando del “nihil obstat” dei baroni e degli agrari meridionali, con la caramella dell’”unità d’italia” edulcorarono  il disegno criminoso di conquista dell’intero “sud”, per farne una colonia,ancora più diseredata di quanto non l’avessero ridotta i borboni, funzionale,da sempre, sino ad oggi, alla ricchezza e prosperità del nord. E, poi, paludare di orgoglio nazionale un tale francesco ferrucci (1489 -1530), uomo di inaudita violenza,come Ricorda il Sacchetti, di cui si ricordano le ultime parole, prima di morire, rivolte al suo assassino, un tale maramaldo:”Tu uccidi un uomo morto”; difensore di firenze dalle mene degli eserciti imperiali e si mette,invece, il silenziatore sui ” Vespri siciliani”, la famosa ribellione nel 1282 dei siciliani contro i francesi loro dominatori! Quanta differenza tra l’”inno di mameli” e la “Canzone dei tedeschi”, “Deutschland uber alles”, poi, diventata l’ ”Inno Nazionale” della germania, unita da bismarck nel 1871, il cui Testo fu Composto da Heinrich Hoffmann von Fallersleben , dal Poeta Rivestito della Melodia di Josef Haydn. Per Hoffmann la germania doveva Essere Unita e Democratica e i suoi valori di Riferimento dovevano essere:“unità, giustizia e libertà…/lavoriamo tutti per questa meta/ col cuore e con l’azione fraterna…. /sono la garanzia della felicità”. Mentre i nostri antifascisti nel 1946 permisero,  facendo emergere il loro dna fascista rimosso nell’inconscio, che un “inno” impastato di disvalori, di linguaggio fascista, rappresentasse gli italiettini , ieri, oggi, domani, e ne facesse sentire la voce e intuire la mente fascista. La  “Canzone dei tedeschi” di Hoffmann non fu amata, quando fu scritta, ché Parlava di Unità, Parola Sovversiva contro i piccoli e grandi re, principi che popolavano il paesaggio politico della germania dell’’800, non disponibili a fare posto alla germania Unita e, per di più, Democratica. In seguito la ” Canzone dei tedeschi” continuò a non essere amata, ché Propagandava la Libertà, la Giustizia, la Fraternità in un paese sotto il tallone di un despota sanguinario. Mentre l’ ”inno di mameli” fu sempre amato ché, scritto dal pargolo di una famiglia nobile, di quelle affiliate alle borghesi congreghe guerrafondaie, conteneva linguaggio, disvalori, falsamente, patriottici e mostrava un ritmo musicale, quasi colonna sonora di sequenze di  cinematografiche battaglie, che  sarebbero serviti ad eccitare al sangue, alla morte i figli dei nullatenenti meridionali, che seppero di essere italiani, quando loro fu imposta la divisa grigioverde, i  guerrieri, in nome e per conto dei vertici di un regno, che giocavano, per noia, all’”armiamoci e partite”. E se fu scelto per rappresentare l’italietta postfascista vuol dire che tra il regime “eccidiato” e il regime “eccidiatore” non c’era, allora, non c’è, oggi, alcuna discontinuità e il destino di un popolo che non c’è, è, ancora, nelle mani di coloro che, se non sono  padri, sono  figli, ci sono, sempre.

Pietro Aretino, già detto Avena Gaetano.


Pubblicato il 25 Giugno 2019

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio