Minima moralia (Meditazioni sulla Vita Offesa. T. Adorno) (13)
La Storia ha carattere ciclico: l’inizio coincide con le fine. La rivoluzione francese, ad esempio. Si sbarazza di luigi XVI, ultimo re assoluto e, dopo, tanto sangue versato con e durante il ”terrore”, si ritrova suddita di napoleone 1°, un despota che la coinvolse in numerose guerre, poi, di almeno tre napoleonidi e di diversi ritorni di fiamma del regime monarchico, rappresentato da eredi e parenti del re ghigliottinato. In russia nel febbriaio del 1917 ha inizio la rivoluzione e viene cacciato dal”cremlino” lo zar nicola 2° romanov, poi, fucilato con la sua famiglia, per ordine di lenin, nel luglio del 1918 e, ora, si ritrova suddita di vladimir vladimorovic putin, ex militare ed ex capo del “kgb”. Tra nicola 2° e putin è doveroso numerare la strage dello zar e della sua famiglia, i morti voluti da stalin, l’ecatombe della seconda guerra mondiale,etc., etc, etc., l’indigenza estrema della popolazione russa per, quasi,70 anni, a causa del fallito tentativo di realizzare, da parte del regime sovietico, il comunismo in economia e la resurrezione del capitalismo più efferato con la formazione di una corrotta, striminzita oligarchia di satrapi, gonfi, ormai, di rubli, euro, marchi, sterline, dollari. I Morti? Quanti, inutilmente! Per un ideale o per un altro, per una motivazione o per un’altra o, forse, la maggior parte, ché colpiti “a la mbam” (si dice nella Lingua di bitonto), inopinatamente, senza sapere perché fosse o fosse stato necessario morire a “pro di chi”? A ”pro di cosa”? il 4 luglio 2019, il despota putin, in una roma blindatissima, ché nessuno s’arrischiasse a fargli la bua, è stato ricevuto dagli inquilini provvisori dei ”palazzi” romani. Egli, capo di tutte le russie, ma ex piccolo borghese zotico, s’è preso il lusso di arrivare dai suoi ospiti italiettini e vaticani con notevolissimo ritardo, come ha già fatto con le autorità di altri paesi.”Nobili si nasce e io lo nacqui”, era Solito Ripetere il Divino Totò, sì che i romanov, saranno stati despoti sanguinari, mentre putin, despota, probabilmente, non sanguinario, ma, poiché educati da precettori, preoccupati delle protocollari formalità, a cui dovevano attenersi i futuri sovrani, sono certissimo che dall’inerme mattarella essi sarebbero arrivati, magari, con un minutino di anticipo. Bene, anzi male! Putin ha incontrato per la terza volta bergoglio: strette di mani calorose tra il vicario di cristo e l’ex capo del “kgb” sovietico, uno di quelli che, secondo i tormentoni, dati in pasto dai preti cattolici alla plebaglia italiettina nelle prime nazionali consultazioni elettorali dell’italietta redenta, si fa per dire, dal despota fascista, mangiava o avrebbe mangiato i bambini. Certamente, putin, come lenin, stalin, non mangiava i bambini, ma quanti scheletri custodiscono e, ancora, contano i suoi armadi! Alla fine dell’incontro, bergoglio se n’esce con il perentorio invito a putin, a un despota patentato,di pregare per lui. Behhh, non credo che il nazareno avrebbe sollecitato l’imperatore romano, se lo avesse incontrato, a pregare giove per lui; in tema di ostentato monoteismo, o l’olimpo o il paradiso o l’empireo dantesco unico è il creatore, pur con nomi e “location” diverse. Infine, il russo (quanti oppositori, o supposti tali, ai ”cremlinanti” egli avrà fatto inviare ai”gulag”!) ha incontrato gli alti rappresentanti delle nostre istituzioni e cenato con essi, a base di pesce di gamberetti e scorfani. A dire il vero, ho, sempre, saputo che nelle cene eleganti, non quelle berlusconiane, per carità, non si serve il pesce, ché di difficile degustazione, a meno che non si permetta ai commensali di gustarlo con le mani o non si sistemi accanto ad ogni commensale un cameriere – maggiordomo con l’incarico di trasformare uno scorfano in tanti bocconcini per gli augusti becchi di qualche di maio o di qualche salvini, ad esempio.. Alla fine resoconti di microfoni a giornalisti che, esperti dei bla, bla, bla dei potenti, o presunti tali, avevano, già, inviato alle loro redazioni i soliti pezzi, farciti dei soliti “faremo”, dei soliti ”auspici”. Quanta Tristezza nel Meditare, nel Pensare che nella seconda guerra mondiale noi italiettini eravamo nemici dei russi, o meglio, i cerchiomagicisti italiettini erano nemici o giocavano a fare i nemici, dei cerchiomagicisti russi. Ma sui campi di battaglia, tra la tundra e la steppa russe, madide di ghiaccio, da Morti, Si Stesero in Solidale Amplesso Giovani Italiani e Russi, la cui unica colpa era quella di avere 20 anni o poco più o poco meno! Quale mostruoso paradosso: Disperse tra la polvere, il fango di immense distese insanguinate, da sempre, la Bellezza, la Vitalità, le Simpatiche Speranze di Giovani, costretti a indossare divise, che dividono i Simili, gli Eguali, che Li esclude da un Possibile vicendevole Abbraccio; costretti a farsi ignoti, illacrimati, a volte, protagonisti della più umana delle follie: la guerra.
Giacomo Leopardi,”La sera del dì di festa” : ”Dolce e chiara è la notte e senza vento, /e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti /posa la luna, e di lontan rivela /serena ogni montagna…”. Basterebbe questo Idillio, per Fare di Giacomo un Grande Poeta. Comunque, IO voglio, ulteriormente, Provocare i miei 25 Amatissimi Lettori, perentoriamente, con l’Affermare che Basterebbero i 4 Versi, che Costituiscono l’”Incipit” di questo Idillio, per Fare di Giacomo un Grande Poeta. Cosa Fa il Poeta? Descrive, e Pasolini Concorderebbe con ME, “si parva licet componere magnis” (se è lecito confrontare, paragonare, associare le piccole cose alle grandi, i piccoli uomini ai Grandi), in quanto Egli ci Avverte che nella Vita c’è il ”dròmenon” la cosa, il fatto, e il ”legòmenon”, la “Descrizione”, Scritta o Parlata di essi. Il Poeta Descrive, ma, anche, Ciò che Egli Descrive, RaccogliendoLo in un Testo Poetico, è un fatto, è una cosa, ché può dare seguito ad un’altra Descrizione, cioè, ad un ”legòmenon” di secondo grado. Pasolini Conclude che la Critica Letteraria è “La Descrizione di una Descrizione”, è un “Legòmenon di secondo Grado” . Il Poeta Descrive, non è, programmaticamente, un informatore, un comunicatore di messaggi, non un persuasore ad una data ideologia religiosa o politica; non il vagheggiatore di una Utopia. Egli ha Forti le sue Radici nel mondo e tra gli uomini, sebbene tra essi è Straniero, forse, più Straniero di quanto non lo sia la maggior parte degli altri uomini tra loro. Ché, mentre la descrizione dei fatti, delle cose da parte di essi origina da soggettività, da angoli visuali impigriti dall’abitudine a considerarli per quello che sono, sono stati, per sempre definiti nel loro essere, nel loro significato, nella loro funzione, nella loro utilità, perfino, al Poeta, invece, tutte le volte che Apre gli Occhi, il mondo, le cose, i fatti Appaiono, come se fosse la prima volta, anche le cose, i fatti, gli Oggetti (da Objet, Ciò che Sta di fronte ad un Soggetto) più, caramente, Diletti. Sì che egli non può EsimerSi dall’Esprimere la sua Sorpresa, il Senso Gioioso, “tamen”, pure, immedicabilmente, Doloroso di Stupore nei confronti di ciò che gli Appare. Sorpresa, Stupore, che, ad esempio, nonostante Si Sublimi nei Dolenti e Composti Omerici Accenti di Ettore e Andromaca al loro Estremo Commiato, non può non Contenere l’irrevocabile condanna per le cruente rivalità tra gli uomini. Di contro, per la più parte dell’umanità, rassegnata, indolente, “homines lupi hominibus” fanno parte della eterna, irredimibile fisiologia conflittuale dei rapporti tra i viventi e per essa non c’è Cambiamento che li Elevi alla Razionalità, alla Sintesi tra opposti punti di vista della Dialettica. E Veniamo al Nostro Giacomo che, in un momento della sua Esistenza S’accorge della Natura, Impreziosita da una “notte dolce e chiara e senza vento e queta la luna… rivela serena ogni montagna…”. Il polisindeto, cioè, la coordinazione caratterizzata dalla ripetizione della medesima congiunzione ”e”, non MI ha fatto, giammai, impazzire; ho, sempre, ad esso preferito l’asindeto, cioè, la fuga degli elementi da coordinare attraverso le virgole, che ad essa danno il senso di ritmica speditezza. Ma in questo”incipit” Leopardi Opera il Miracolo di, indissolubilmente, Legare, attraverso la congiunzione “e”, le qualificazioni della notte (dolce e chiara), della luna(queta), di ogni montagna( serena), facendole traslare dalla notte alla luna, dalla luna ad ogni montagna, si che Inevitabile sia la Descrizione della Natura, come un oceano di solitudine, non ”curans angores anxios hominum”, di cui Parla Lucrezio,(indifferente alla pene struggenti degli uomini). Quante volte il Poeta avrà guardato il cielo, la luna, la montagne di lontano, ma la Poesia Nasce, quando il Poeta, finalmente, Vede ciò che ha sempre guardato, ciò che gli altri uomini guardano senza, mai, Vedere. Forti, emblematici, speculari gli aggettivi: queta, alla luna riferito e serena, riferito a ogni montagna. La luna posa(pare che il Poeta Si Freni dal dire: ”con tutti i comodi”) sui tetti (non è compito del Poeta enumerare i dolori, i drammi, il sangue che spesso scorre lì sotto: si violentano, si uccidono,da parte dei padri, delle madri, i bambini, i figli di pochi anni, di pochi mesi e i figli i padri, come nei miti preolimpici e nelle tragedie greche) e in mezzo agli orti, dove diuturna è l’immane fatica dell’agricola e le preoccupazioni per il buon raccolto delle sue messi e rivela la serenità di ogni montagna, che non placa, ma eccita l’invidia di coloro che ne vogliono scalare le cime, per incielarsi, come, le nubi, magari. Di fronte a tanto spettacolo, poco manca di udire risuonare di lontano, sempre più vicino, un ohhhhhhhhhh, in cui non si dimidia, ma Vive la Poesia. Non c’è sermone in questo Idillio, come nella Poesia, in generale, ma Vita e Tutto quanto i ciechi dalla nascita potranno da Essa Percepire, per Liberarsi da ogni sorta di inganno ed essere, almeno, Scossi dal Presentimento della Verità.
Adolescenti, giovani, adulti, vecchi, di genere maschile e femminile, con il borsello a tracolla e l’avambraccio destro in avanti e con la manina destra che, in modo malfermo, com’è ovvio, mantiene uno smartphone su cui arranca il ditino sinistro, che ne digita le irrevocabili stronzate. E il collo e la cervice ”sine cerebro” e gli occhi inclinati sulle, già citate, stronzate. Stamane, nell’osservare, mio malgrado, un tal con il “look”, già sopra descritto, e il suo deambulare con la, già menzionata, postura degli arti superiori e della cervice e del collo e degli occhi, ho Ripreso a Pregare Dio ché gli scaraventasse, immantinente, una sua letalissima folgore. Ma niente è successo, ché Dio non c’E’. Per fortuna, ci sono sul di lui percorso pali di ogni tipo e funzione e utilità, che un giorno gli si opporranno violentemente, e vendicheranno la bile, dal mio fegato secreta, raccolta dalla mia cistifellea, ed esondata nel mio intestino duodenale. IO, magari, ricoverato in una clinica endocrinologa, se non erro, ma egli sotto i cipressi, carduccianamente, alti e schietti. Ahimè, non se ne può più e la cosa tragica è che non si sa più ove rifugiarsi, per non assistere alla omogeneizzate esibizioni di simili pupazzi, kafkianamente, manovrati, ma non processati e condannati ai lavori forzati, da un ignoto, misterioso castellano.
Pietro Aretino, già detto Avena Gaetano
Pubblicato il 9 Luglio 2019