Cultura e Spettacoli

Mobile-bar: il culto dei perdenti

Martha e George sono due coniugi frustrati che litigano e trincano sullo sfondo di un’America anni sessanta da quartieri alti. Di qui non si scappa. A farne un’icona di questa espressione del fallimento a due fu l’interpretazione di Liz Taylor e Richard Burton nella versione cinematografica dell’opera di Albee che Mike Nichols girò nel 1966. Da allora, ogni allestimento italiano non ha saputo prescindere dal modello statunitense. Ciò vale per le messinscene firmate da Franco Zeffirelli (che impiegò Enrico Maria Salerno e Sarah Ferrati), Mario Missiroli (protagonisti Anna Proclemer e Gabriele Ferzetti) e Gabriele Lavia, che recitò a fianco di Mariangela Melato. Poi arriva Arturo Cirillo e finalmente, almeno per quanto riguarda il personaggio del padrone di casa, si esce dalle righe, si evade la noia dell’accademismo a stelle e strisce. Con ciò non si vuole perorare la causa di un ‘Chi ha paura di Virginia Wolf ?’ in salsa polacca, argentina o neozelandese nel nome di una facile universalità del tema dell’arrivismo improduttivo e  della solitudine. Semplicemente, il capolavoro di Albee può prescindere dal modello piatto e omologante da Actors Studio, il celebre laboratorio per la formazione al mestiere dell’attore che a sede a New York, dove continua a ‘stampare’ interpreti ; modello che ha condizionato le messinscene di cui sopra. Ma Arturo Cirillo è un George che non fa ‘il’ George. Lo dicono i gesti, le pose, i tempi, le intonazioni. Lo dice la moderata teatralità. Non fosse un ben riuscito inserimento all’interno di un tessuto che non gli appartiene, lo si direbbe un corpo estraneo. Il George-Cirillo fa pensare ad uno straniero che, pur integrato da lunghissimo tempo, non ha smarrito la sua originalità. Originalità leggera, tuttavia sufficiente a porre il personaggio al di sopra dei co-protagonisti. Tale tocco, spontaneo e sottilmente partenopeo, basta da solo a conferire un che d’appassionante ad un allestimento dove Cirillo – che cura anche la regia – non stravolge nulla, ‘limitandosi’ ad un solo, determinante innesto (il proprio). Con Cirillo, erano in scena i bravi Milvia Marigliano, Valentina Picello e Edoardo Ribatto. Degno di menzione, infine, il lavoro scenico di Dario Gessati che fa del mobile bar una specie di totem luminoso davanti al quale un microcosmo di devoti si prostra a celebrare il culto dei perdenti.  – Traduzione di Ettore Capriolo; costumi : Gianluca Falaschi; luci : Mario Loprevite; regista collaboratore : Roberto Capasso; assistente alla regia : Giorgio Castagna; assistente scenografo: Lucia Rho; assistente costumista : Cristiana Di Giampietro; fotografo di scena : Diego Steccanella.

 

Italo Interesse

 

 

 

 


Pubblicato il 17 Maggio 2016

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