Cultura e Spettacoli

Monteruga, la sconfitta dell’utopia

Se un regista amante della Puglia e del genere metafisico fosse in cerca di una ‘location’ gli indicheremmo senza indugio quella di Monteruga. Nell’agro di Veglie, nel leccese, si levano i ruderi (ancora riaccomodabili) di un villaggio colonico voluto dal fascismo e che si sviluppò nel dopoguerra, negli anni della riforma fondiaria. La storia di Monteruga come villaggio rurale termina negli anni ottanta con la privatizzazione dell’Ente Riforma. Disabitata da allora, Monteruga è ora il regno delle erbacce e della ruggine. Eppure, per via delle caratteristiche architettoniche e dell’effetto che sulle stesse sono state impresse dall’abbandono e dall’incuria del tempo, Monteruga esercita un certo fascino. Strutturato come un’imponente masseria-cascina, questo borgo era autosufficiente. Fornito di depositi, officine, stabilimenti per la produzione dell’olio e del vino, un granaio, una pompa di benzina e una torre dell’acqua, disponeva anche di un dopolavoro, un campo di bocce, una scuola, un cinema, una stazione dei carabinieri, e una chiesa, dedicata a S. Antonio Abate ; intorno a questa, lungo i bordi di un vasto spazio dove ancora svettano alcune palme, si allarga un porticato perimetrale sotto cui volte un tempo trovavano posto gli alloggi dei lavoratori (due camere e cucina con sul retro un personale fazzoletto di terra adibito ad orto). La struttura poteva ospitare fino a ottocento braccianti, a coordinare i quali c’era ‘lu Pippi’ (il Fattore). Chissà il via vai di uomini, cose ed animali, chissà i canti e i suoni di una comunità operosa dall’alba al tramonto. Immaginarlo fa apparire ancora più vasti questi ambienti desolati e spogli, immersi in un silenzio che farebbe la gioia di un poeta decadente. Tappa d’obbligo per i cultori dell’oblio, Monteruga sollecita anche altri interrogativi : quell’investimento fu produttivo? Il suo abbandono dopo appena qualche decennio di prosperità ci fa sospettare di no. E la privatizzazione dell’Ente Riforma ci pare più l’effetto che la causa di un fallimento. Il caso-Monteruga (non unico nel sud Italia) è esemplare dell’improduttività di certa politica economica. Iniziative come la Cassa per il Mezzogiorno o la Riforma Agraria, pur lodevoli in sé, si arenarono miseramente nelle secche di una mentalità tangentista e clientelare, endemica del fondo dello ‘stivale’ e preesistente all’Unità. L’unificazione, lungi dal migliorare costumi scadenti, finì col peggiorarli. Né l’insegnamento di due guerre bastò a  illuminare le menti. In conclusione, Monteruga fu l’ennesima sconfitta dell’utopia, questa volta causata da un dirigismo politico ottuso e affatto adamantino.

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 4 Marzo 2014

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