Cultura e Spettacoli

“Morire di fame o rischiare”

Nominalmente erano campi di lavoro, di fatto erano campi di sterminio. I lager dove i tedeschi durante la seconda guerra mondiale rinchiusero i soldati italiani che all’8 settembre avevano rifiutato di continuare la guerra al fianco del vecchio alleato erano pensati allo scopo di punire con la morte i ‘traditori’ dopo averli ben bene macinati come unità produttive. Interessantissima in tal senso è la testimonianza di Mariano Gennaro, un marconista di Casamassima che, catturato all’indomani dell’Armistizio firmato da Badoglio, fu internato dai tedeschi nel campo di Limburg. La testimonianza, di cui andiamo a stralciare alcuni passi, è contenuta in ‘Dietro il filo spinato’, un libro-choc del nostro Vitoronzo Pastore edito da Suma Editore. Privati di orologi, catenine e anelli, i nostri soldati si videro togliere persino le scarpe. “Ci arrangiammo trovando tavole di legna nei bidoni dei rifiuti… tagliate a forma di piede e legate con stracci sotto la pianta”. Il lavoro era durissimo : “Sveglia alle cinque di mattina, alle sei eravamo sul lavoro, sosta intorno a mezzogiorno, dopo mezz’ora ripresa del lavoro fino alle ore 18”. Oltre undici ore di fatica disumana. Al termine, il ‘conforto’ degli alloggiamenti : “Le baracche erano prive di riscaldamento, dormivamo come animali, il letto era un tavolaccio, teli malconci fungevano da coperte… convivevamo coi pidocchi che facevano da padrone su tutto”. Al tormento dei parassiti si aggiungeva quello della fame. I bidoni della spazzatura erano una miniera : “Le bucce di patate venivano cotte, passate al setaccio… Purtroppo determinavano una reazione allergica che portava alla morte… ma a volte non potevamo farne e a meno ; morire di fame o rischiare”. Trasferito a Dortmund, il Gennaro si ritrova a lavorare in miniera con prospettive disperate : “Tutti quanti pensavano che ormai quella doveva essere la nostra tomba”. Ma il diavolo non è poi così brutto come lo si dipinge : “Un civile tedesco mi suggerì come fare per evitare la miniera. Alla fine della giornata mi dileguai, raggiunsi un posto di polizia dicendo che mi ero perso, delle guardie mi condussero a un campo diverso e la mattina successiva andai a lavorare in ferrovia”. Il Lunedì di Pasqua del 1944 nella stazione di Hamm arriva la sospirata liberazione ad opera degli americani. Le parti ora si invertono : “Per la strada ci autorizzarono a depredare l’occorrenza. Ci fermammo a un paesino chiamato Brunen… in quel sobborgo trovammo galline, mucche e ne approfittammo”. In treno Mariano Gennaro e gli altri arrivano a Innsbruck, dove vengono sottoposti a disinfestazione (“e questa volta scomparvero pidocchi e zecche”). Giunti al Centro di Raccolta di Pescantina, vicino Verona, i reduci sono sottoposti a “interrogatori, visite mediche, questionari”. Giunge così il momento di prendere il treno “in piena libertà” per arrivare a Casamassima  “dopo quasi due giorni di viaggio”. Sono le otto di mattina del 9 settembre 1945. Il calvario di Mariano Gennaro è durato due anni giusti.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 27 Ottobre 2012

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