Cultura e Spettacoli

Mostra d’arte “MDDXXI restART” a Terlizzi

Il dialogo tra società e arti visive crea inaspettati intrecci che l’artista ha il compito di sbrogliare e ricomporre, attraverso la mediazione dell’arte quale vettore d’introspezione e divulgazione.Da un evento così ben riuscito, come la collettiva “MDDXXI restART” tenutasi a Terlizzi dall’8 Luglio al 10 Agosto (si prolunga fino al 14?) presso lo splendido scrigno della Pinacoteca De Napoli, si vuol avere la presunzione di cogliere un motivo simpatetico, uno sfondo che aiuti a sottolineare la validità storica e dunque l’eredità dell’arte celata sotto le spoglie dell’estetismo.Gli artisti in questione, Giovanni Morgese, Paolo De Santoli e Costantino De Sarios’impongono, con l’immediatezza visiva delle loro opere, all’attenzione di una comunità non insensibile a certi messaggi.È arte metafisicheggiante, interiormente raccolta, quella che promana dalle sculture di Morgese, realizzate tutte mediante riuso di materiali basici, usati per raccontare, con parole modellate per lo più in tondini di ferro, la levità esistenziale che molto somiglia ad un vero e proprio disimpegno morale della società attuale, un’abdicazione lenta e inesorabile che – come in “Trasparenza” (2017), opera emblematica in tal senso, ma anche in “La mia casa” (2018) e in “Caelum” (2019) – svuota l’uomo di ogni religiosità e lo “riempie” del nihilismo della pretestuosa contemporaneità.In De Santoliè il tema del paesaggio, mai prono a oleografie o manierismi, ma ineffabilmente stemperato nella tenerezza di un’aulica sospensione: la veduta è orizzontale, poi si fa più panoramica, infine diviene aerea, come in “La Murgia. Il monile” (2018). L’occhio di chi guarda sembra timidamente velarsi, ascondersi, addirittura perdersi, poi spazia nel tempo, tra tinte acriliche che si concedono al legno in un afflato di tridimensionalità che evoca forse una più spirituale “trinità” di coscienza, speranza e purezza di messaggio.Le tecniche promozionali usate nella pubblicità e nel cinema, per veicolare messaggi, sono invece l’oggetto, da quasi un quarantennio ormai, dell’opera di De Sario.È il gioco sottile della persuasione che si ottiene intercambiando i materiali comunicativi, rielaborati in chiave ironica, in schemi modulari reiterantisi. Si parte sempre da un manifesto, “tabula rasa” su cui imbastire la trama comunicativa pop, in un cocktaildi figure stilizzate che si alternano variamente, in un godibile gioco di allusioni e rimandi iconografici contemporanei. In “MammamiaBanksy” (2018) si riproduce il segreto meccanismo tritacarte che ha distrutto l’opera dello street artistBanksy, appena battuta ad un’asta Sotheby’s per oltre un milione di sterline. E così, in “Nonno scatenato” (2019), tecnica mista su pvc, l’arte, che in genere va verso il cinema, ritorna dal cinema e si riprende il suo autentico status: il monumento equestre al Gattamelata, di Donatello, è qui riprodotto centinaia di volte in pallini-promemoria che rimandano ad una sfera colorata significativamente più grande. In “Amore e Psiche” (2020); “Alla ricerca di Nemo” (2016); “Veneri” (2019); “Hanno ucciso l’uomo ragno” (2020); e “Trascendence” (2020), la matrice pop si formalizza in una compìta gestualità artistica, in accenni dialoganti con l’espressionismo, in voluti contrasti visivi come in Willendorf e Botticelli, e le rispettive Veneri, e in giustapposizioni ardite, come quella di Johnny Depp e Monet.De Sario trasfigura cromaticamente gli spazi coll’istinto di un fauvee l’impulsività di un Warhol: realtà e visione, subliminalmente connesse, sono il leitmotivdella comunicazione artistica di De Sario: una comunicazione nuda, ingenua, senza imbellettamenti romantici, solo anagrammaticamente combinata, e non certo per questioni di stile ma per un èmpito d’estro e di libera ispirazione artistica.

 

Felice de Sario

 

 

 

 

 


Pubblicato il 9 Agosto 2021

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