Cultura e Spettacoli

Muoio innocente, disse il guardiano, ma…

Con l’eccezione del periodo post-unitario, quando – tra molte contraddizioni cercarono qui a Mezzogiorno di organizzare una guerra di liberazione –  i ‘briganti’ furono comuni malfattori da strada. Agendo in bande il cui numero in media andava dai cinque ai dieci uomini, assaltavano vetture di posta, depredavano masserie, rubavano bestiame. Fatto il colpo, tornavano a rifugiarsi nei boschi e nelle grotte. Campavano così, talvolta sporcandosi le mani di sangue. Nessuno moriva vecchio. A parte il fatto che ci voleva una tempra da leoni per sopravvivere a certe angustie, la Legge prima o poi giungeva a spezzare brevi carriere criminali. Dopo il 1865, al termine di blitz capillari e impietosi ad opera del neo nato Esercito Italiano in concorso con la Guardia Nazionale, qui a Sud non si parlò più di briganti. Solo eccezionalmente comuni malviventi si organizzarono in bande attive unicamente nelle campagne fregiandosi del titolo ormai desueto di ‘briganti’. L’ultima volta dei briganti in Puglia risale al 1922. Stando alla ricostruzione dei fatti ad opera di F. Semeraro, era il 23 settembre di quell’anno quando una comitiva di scellerati  assalì e saccheggiò la masseria San Paolo di don Ciccio Basile. All’imbrunire, mentre in casa si recitava il rosario, e senza che il cane da guardia avesse dato l’allarme, irruppero coi volti sporchi di nerofumo una quindicina di briganti tra cui una donna travestita da monaca. Padroni di casa e servi furono malmenati e dileggiati ; prima di andarsene carichi di gioielli, contanti e oggetti di valore, i briganti vollero farsi servire a tavola. Appena fu possibile dare l’allarme, scattarono le indagini. Il primo ad essere sospettato fu tale Pietro Massafra, a servizio in casa Basile in qualità di guardiano. Sotto una gragnola di bastonate confessò d’aver avvelenato il cane, il cui cadavere fu rinvenuto in un bosco non lontano, e di aver dato il segnale ai briganti agitando un lume. Ma dopo l’incriminazione si proclamò innocente. La moglie allora, spogliandosi d’ogni bene, assoldò il miglior avvocato. Non servì. Il Massafra morì in carcere prima del processo. Poco prima di spirare si proclamò ancora innocente ma un fatto impressionante intervenne a gettare un’ombra sulle sue ultime parole :  Mentre si teneva la veglia funebre, un cero si rovesciò sula salma e gli abiti del morto presero fuoco… Sembrò a tutti che la maledizione fosse caduta sugli impuniti e che presto essi sarebbero stati assicurati alla Giustizia. Fu così. Nel giro di un mese furono tutti arrestati. Il processo venne celebrato a Taranto. Il 12 novembre 1922 la Corte d’Assise condannava diciotto imputati con pene che andavano dai quindici ai ventitre anni.

Italo Interesse


Pubblicato il 10 Luglio 2013

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