Cultura e Spettacoli

Murat, quella pallottola ‘disobbediente’

Lo scorso anno, bicentenario della fondazione di Bari nuova, nessuna delegazione del nostro Comune si è recata a Pizzo Calabro a deporre una corona di fiori nella Chiesa Matrice di San Giorgio Martire di Pizzo Calabro. Nella fossa comune di quella chiesa fu deposta la salma di Gioacchino Murat appena dopo la sua fucilazione, avvenuta il  13 ottobre 1815. (Particolare curioso, lo stesso Murat, cinque anni prima, il 25 maggio 1810, di passaggio da Pizzo Calabro, aveva elargito duemila ducati perché venisse completata la ricostruzione di quella chiesa che era stata semidistrutta dal terremoto del 28 marzo 1783). I resti dell’uomo che il 25 aprile del 1813 pose la prima pietra di Bari Nuova non sono mai stati ricomposti. Ciò costituisce da sempre il cruccio di un Comitato Permanente per le Onoranze a S.M. Gioacchino Murat che di recente ha sostituito con una nuova lapide, quella (malridotta) che nel cimitero di Père Lachaise a Parigi ricordava lo scomparso sovrano ; per questioni di ‘rispetto’ le parole incise sulla vecchia lastra di marmo sono state fedelmente riprodotte, benché false dal momento che dichiarano essere lì sepolto re Gioacchino. Questa fedeltà alla memoria del Murat è molto sentita in Francia ; a La Bastide-Murat, città natale del cognato di Napoleone, opera l’Association des amis du Musèe Murat, creata nel 1957 e che ha come scopo l’arricchimento di quel museo, allogato presso la casa natale del re di Napoli, nonché la promozione di ricerche storiche e anche di cimeli. Non si può dire che Bari si sia manifestata altrettanta sensibile. E’ vero, a Murat ha dedicato il grande quadrilatero urbano che fronteggia la città vecchia, ma più in là si poteva andare, almeno in occasione del bicentenario. Dunque, Gioacchino Murat resterà senza sepolcro. L’ultimo ricordo di quest’uomo cadavere è nelle parole di Antonino Condoleo il quale assistette alla sepoltura, che così descrive in una ‘Narrazione’ pubblicata da E. Capialbi: “ …L’insanguinato cadavere fu subito messo in una rozza cassa di abete e fu portata da dodici soldati nella Chiesa Matrice. Nel deporla a terra, per l’urto ricevuto o perché mal connessa, la cassa si aprì negli spigoli. Oh, visione incancellabile di quel volto pallido, sfigurato da una pallottola che aveva orribilmente solcata la sua gota destra, di quegli occhi spenti, di quella bocca socchiusa, che pareva volesse terminare qualche incominciata parola, di quell’aria guerriera che la stessa morte non aveva potuto cancellare dal suo sembiante! Rattoppata alla meglio la cassa, con tutta sollecitudine, fu gettata nella fossa comune… “. Povero Murat. Dinanzi al plotone d’esecuzione si comportò con grande fermezza rifiutandosi di farsi bendare. Si dice che le sue ultime parole prima della scarica fatale siano state : Sauvez ma face, visez mon coeur, feu! (risparmiate il mio volto, mirate al cuore, fuoco!). E invece quella pallottola ‘disobbediente’…

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 19 Luglio 2014

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