Nave Ofanto: Inerme e invulnerabile
C’è stato un tempo in Italia in cui le navi cisterna per acqua erano battezzate col nome dei nostri maggiori fiumi. Non poteva mancare la Ofanto. Apparteneva alla classe Adda, come le gemelle Adda, Aniene, Aterno, Brembo, Foce, Nera e Oristano. Varata nel 1914 dalla Società Esercizio Bacini di Riva Trigoso (GE), aveva un dislocamento di 280 t. e un equipaggio di 13 uomini ; poteva trasportare 180 t. d’acqua potabile a una velocità di 8,5 nodi. Fu radiata nel 1976 (ma fonti diverse riportano il 1946 e il 1982). A parte la sostituzione della motrice a carbone con un motore diesel avvenuta in epoca imprecisata presso l’Arsenale della Marina Militare de La Maddalena, di più non è dato sapere. Di Sicuro la Ofanto venne requisita dalla Marina Militare durante l’ultima guerra ; diversamente la modifica meccanica di cui prima non sarebbe avvenuta nel blindatissimo Arsenale de La Maddalena. L’Ofanto passò indenne per l’esperienza bellica ; non si parla a suo danno di bombardamenti o siluramenti, né la nave risulta requisita dai Tedeschi all’indomani del’8 settembre. La sua dovette essere anche in tempi di guerra una vita altrettanto monotona che in tempi di pace. Armata di qualche innocua mitragliatrice contro la minaccia aerea, la Ofanto esercitò indisturbata il suo pigro andirivieni continente-isole. Rifornì d’acqua le Tremiti, Lampedusa, Ischia? Chissà che almeno una volta la sua sagoma non sia stata inquadrata dal periscopio di un sommergibile britannico. Lasciamo spazio alla fantasia : Il comandante valuta le dimensioni della nave e si interroga se sia il caso di sprecare un costoso siluro per una bagnarola. Meglio emergere e mettere mano al cannone, no? Due, tre colpi al massimo e la miseria di 280 tonnellate di naviglio nemico affondato vanno ad aggiungersi al sontuoso conteggio che viene dall’aver colato a picco piroscafi, petroliere, torpediniere… Ma ecco il punto, è vera gloria, ha significato tattico affondare una piccola, indifesa nave cisterna per acqua? Meglio ordinare l’immersione e mettersi alla ricerca di una preda che sia degna di questo nome… La storia della Ofanto riporta alla mente quella filastrocca dove si canta di una barchetta diretta a Santa Fè per caricare mezzo chilo di caffè. Pur senza equipaggio – tant’è che il suo coraggioso e barbuto Capitano, gran fumatore di toscani, deve arrangiarsi a fare il cuoco, il nostromo e persino il sarto (ha da aggiustarsi un gilè) – la barchetta arriva sempre a destinazione malgrado le insidie di oceaniche montagne d’acqua. A proteggerla è la buona sorte riservata agli inermi per antonomasia. Forse allo stesso modo la Ofanto, questa nave dalla linea goffa e dall’aria tenera, risibile nell’armamento, trovò proprio nella solare debolezza la ragione della sua invulnerabilità.
Italo Interesse
Pubblicato il 21 Novembre 2014