Nei paesaggi metropolitani di Alba sotto accusa le scelleratezze di Adamo
Il suo cuore, purtroppo, ha cessato di battere in un’uggiosa e triste giornata di un anno fa, quando Atropo, la più implacabile delle Parche, decise di troncare lo stame della sua vita. Ma grazie al divino soffio dell’Arte, quel cuore continua a pulsare anche oggi nelle accattivanti immagini delle opere in passerella nell’elegante e arioso foyer del Petruzzelli. Parliamo di Alba Amoruso, e della sua mostra dal titolo emblematico “Battiti dell’Arte nel cuore della città“, promossa nell’ambito della rassegna “Notti sacre 2011”, con il prezioso apporto del marito Carmine Curcio. Una mostra dedicata quasi interamente al paesaggio urbano, in particolare alle inquietanti immagini delle megalopoli in cui svettano fumanti ciminiere e retaggi di archeologia industriale, mentre il traffico-caos raggiunge il diapason con macchine sempre più veloci. “Così veloci – soleva ripetere l’Artista – da spaccare il cuore alle città”. Immagini che, grazie alla prevalenza del nero e del bigio in manufatti in cotto e vecchie ciminiere, ricordano in certo qual modo gli affondi pittorici, oscillanti tra realismo e metafisica, di Mario Sironi o le architetture del futurista Antonio Sant’Elia. E il colore? Il colore si è oltremodo rarefatto per consentire alla coraggiosa pittrice di penetrare a fondo nell’intimità più ascosa delle opere, mettendo a nudo la loro essenzialità, la loro anima. Opere suggestive che sembrano tante finestre aperte su questo o quell’angolo metropolitano per carpirne il variegato linguaggio; un linguaggio che parla di inquinamento, vita frenetica, rumori assordanti. Vista e udito, ovviamente, ne sono quotidianamente offesi. Ma la paladina dell’ambiente ricorre ad un sottile escamotage per mettere nero sul bianco delle sue tele. Dal suo osservatorio privilegiato, si affaccia solo quando Adamo è assente; oppure, talvolta, nel cuore della notte, quando silenzio e solitudine regnano sovrani. E così, armata di pennelli e spatole, Alba si mette all’opera; in primo luogo comincia ad eliminare man mano il colore, riducendolo quasi al lumicino per giungere agevolmente all’interiorità dei suoi paesaggi e a trasmetterci in toto le sue emozioni; quelle di una metropoli in verticale che si libra nel cielo plumbeo tra sciabordii caliginosi e qualche lieve sprazzo di luce. E per rincarar la dose le strade si aprono tra filari di caseggiati scheletrici, gli uni addossati agli altri come se non fossero più in grado di reggersi in piedi, oppure lo sguardo finisce in gallerie scarsamente illuminate, dove a malapena si scorgono binari e lampioni. Ma ecco, quasi inconsapevolmente, in quel magma spettrale far capolino un barlume di speranza in un futuro meno incerto e difficile. Lei, comunque, non demorde, né si lascia irretire da lusinghe e facili promesse per lanciare qua e là ciambelle di salvataggio per trarre dalla desolazione l’uomo contemporaneo. E allora? Per adesso, i suoi colori sono tenuti a freno, come i figli del re dei venti, scalpitanti nell’otre di Eolo. E avranno via libera solo quando ci sarà la certezza, netta e incontrovertibile, che Adamo si stia finalmente destando dal lungo sonno della ragione. (v.c.)
Pubblicato il 29 Settembre 2011