Cultura e Spettacoli

Nel bene e nel male, nel nome del Maestro

Con ‘Amleto +Fortinbrasmaschine’ di e con Roberto Latini si è chiuso al Teatro Palazzo il Mese Shakesperiano. Rivisitazione di un’altra rivisitazione dell’Amleto ad opera di Heiner Müller, questa produzione Fortebraccio Teatro non ha lasciato insensibile la platea per effetto del rigore del disegno drammaturgico e dell’intensità della messinscena. Un’operazione comunque troppo articolata per essere fruita senza fatica. Questo limite del buon lavoro di Latini porta a riflettere sul colore ‘sofferto’ dell’imponente rassegna barese e, più in generale, sulla dilagante complessità dell’approccio a Shakespeare. Anche a trovarli, non bastano più, oggi, fondi e maestranze comme-il-faut per mettere in scena Otello, Romeo e Giulietta, Macbeth… Il terrore di non ‘apparire’ originali sprona i registi a personalizzare, costi quel che costi. E allora, che di mezzo siano Riccardo III, Re Lear o La Bisbetica domata, va bene riesumare Freud e cianciare di modernità.  Prendono così vita molti (troppi) allestimenti arzigogolati, innaturali, tirati per i capelli, confusi nel migliore dei casi, talvolta persino disonesti. Scelte determinate anche da malizia commerciale : ‘Sogno di una notte di mezza estate’ in apertura di stagione fa guadagnare abbonamenti, col ‘Mercante di Venezia’ si strappano contributi, ‘La tempesta’ si vende come il pane nelle scuole… E poi con Shakespeare hai voglia a mandare in fresco la SIAE (è stato calcolato che se Shakespeare, vivendo, potesse incassare i diritti d’autore relativi anche ai soli ultimi trent’anni, sarebbe ricco come Bill Gates). Un’overdose contro cui sarebbe il caso di invocare una sorta di ‘fermo biologico’. Perché a patire danno, tra l’altro, è una generazione di drammaturghi esclusi, demotivati, snobbati (a che ti serve scrivere da Dio se ti chiami Fracchiolla o Sciancalepore?). Si potrà obbiettare che quest’anno ricorre il quattrocentesimo anniversario della morte del Maestro (che forse ogni tanto si rivolta nella tomba), per cui già dal 2017 si dovrebbe cominciare a parlarne un po’ meno. Chiacchiere. Il genio di Stratford-upon-Avon resta una miniera d’oro. Per quale motivo teatranti – anche onesti – naufragati nell’esclusione dai grandi circuiti e dai ‘contenitori’ che contano dovrebbero rinunciare a una lancia di salvataggio? Rassegniamoci dunque e ancora a lungo termine a ‘Giulio Cesare’, ‘Tanto rumore per nulla’ e ‘La dodicesima notte’ rivisitati e corretti. Ridotto a unità di consumo, lo spettatore non starà a storcere il naso. Nessuno, nemmeno tra quelle buone carni dei giornalisti, si leverà a invocare boiate pazzesche (remare controcorrente è faticoso). Solo al cinema Fantozzi poteva meritarsi novanta minuti di applausi.

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 10 Dicembre 2016

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