Nel Labirinto fra specchi e incubi
L’opera di Borges è sublime labirinto dove al posto del Minotauro ha casa una fauna surreale : il paradosso, l’allucinazione, il sogno, lo specchio… e altri incubi. Un labirinto dalle dimensioni infinite. Chi vi si inoltra avventatamente rischia di smarrire le coordinate. Ciò spiega perché un Borges, pur tanto letto, abbia perso per strada tanti lettori, gente che al primo ripetersi di svolte, slarghi, stanze e corridoi ha fatto marcia indietro. Paolo Panaro è un’Arianna all’incontrario : invece di fornire un gomitolo di fuga al Teseo di turno (il lettore), lo instrada verso una via di non ritorno. Ma a differenza che l’inquietante costruzione di Dedalo, qui nessun Asterione dalla testa taurina e dal corpo umano è in agguato. E’ semmai in agguato la possibilità di gettare uno sguardo su un concetto vertiginoso e assolutamente ‘altro’ del tempo e forse pure dello spazio, della materia (se Einstein avesse approfondito l’opera di Borges forse avrebbe tratto elementi utili a spiegare più comprensibilmente la sua celebre teoria). La due-giorni borgesiana, chiamiamola così, che è stata in cartellone alla Vallisa fra mercoledì e giovedì, resterà una delle cose più belle della storia di ‘Le direzioni del racconto’, questo prezioso progetto sul teatro di narrazione che da molti anni il Centro Diaghilev cura. Panaro ripartisce l’immersione collettiva in due momenti : prima un’ideale conversazione col genio argentino, poi una selezione della sua sterminata produzione. A intervalli spezza l’apnea concedendo di tornare in superficie a rifiatare (e qui entra in funzione un quartetto d’archi che spazia fra Haydn, Mozart, Bach non disdegnando tanghi). Nella prima frazione (mercoledì) un sobrio Vito Lopriore incarna i tanti intervistatori che ebbero il privilegio di conversare con Borges lasciandone traccia in tomi preziosi. Miniera da cui Panaro attinge materiale che, assemblato con efficacia, consente di tracciare un ritratto credibile, quello di un uomo straordinario, sospeso fra il nostro mondo ed altri a noi inimmaginabili, dall’aria inerme e al contempo invulnerabile, capace di fulminanti spunti autoironici. Panaro non si cura di rendere la voce, il gesto e la postura di un vecchio ; dà piuttosto fondo al sentimento sfuggente di Borges e lo fa con esiti appassionanti. Non dissimile l’emozione nella seconda serata, che si pone come ideale prosecuzione della prima. E’ come se dopo una lunga intervista al Maestro, questo ‘Speciale Borges’ proseguisse con l’interpretazione di alcuni stralci dell’opera. L’interprete è ancora Panaro, si capisce. Con lui il Verbo borgesiano, questo parlare enigmatico senza volerlo, questo dire cosparso di taciuti puntini di sospensione, questo alludere sottile e un po’ tenebroso a qualcosa che ci sovrasta cala sulla platea come una coltre ipnotica. L’inafferrabilità di Jorge Luis Borges rimane, ma l’approccio è suadente, affatto scoraggiante. Dando il meglio di sé, Paolo Panaro invoglia il lettore a non fermarsi.
Italo Interesse
Pubblicato il 25 Novembre 2014