Nel nulla è la mia Patria
La Shoah non ha rappresentato l’unico acuto di una tragedia immensa. Il popolo italiano, per esempio, ha dovuto patire il dramma di uomini dislocati su fronti impossibili (il Don) o abbandonati a sé stessi dopo l’8 settembre. Data, questa, che ha segnato l’inizio del calvario per migliaia di militari e civili sparpagliati sui diversi teatri di guerra. Prendiamo l’Albania. Con l’avvento del comunismo nel paese delle aquile una ‘cortina’ invalicabile si levò alle frontiere. Chi non aveva fatto in tempo a scappare rimase intrappolato sino al crollo del regime. Durante quei quarant’anni gente considerata italiana in Albania (e più in là, albanese in Italia) nacque, languì e si spense nel grigiore dei campi di concentramento. A questo dramma snobbato da editori e produttori poiché ritenuto poco ‘spettacolare’ ha prestato ascolto Saverio La Ruina. “Italianesi” (premio UBU 2012 riservato al miglior attore italiano) è stato in cartellone al Kismet alcuni giorni fa. Avvolto nel nulla assoluto a parte una sedia, l’autore e interprete calabrese dà vita a un’esemplare performance di teatro di narrazione. Un profugo senza nome si racconta, racconta una tragedia personale incapsulata dentro una tragedia collettiva. E’ un ex sarto che ha appreso l’arte nel Campo spendendola all’interno degli stessi confini insieme a speranze, sogni ed emozioni. L’uomo non ha mai conosciuto il padre ; una volta riacquistata la libertà, lo cercherà. Ma al momento dell’incontro un muro invisibile separa il figlio dal padre. Con un senso d’incompiuto, d’impotenza e d’inespresso si chiude una narrazione la cui pacatezza artiglia la platea. La Ruina è nei modi e nei toni il più classico uomo della strada. A vederlo sembra abbia da raccontare niente di che, salvo partecipare un vissuto comune con le stesse modalità caserecce con cui un anziano ci attaccherebbe bottone in una sala d’attesa o viaggiando in treno. E anche quando il Nostro attacca con quel suo dire confidenziale e alla buona in un italiano cadenzato di albanese, ancora si stenta a credere che stia per aprirsi una pagina di Storia rimossa. Poco a poco, però, la caratura del testo e dell’interpretazione emergono irresistibili. Allora fa specie questo contrasto stridente fra l’assenza di acredine verso chicchessia e tanto, inaudito dolore consumato a pochi chilometri da casa mentre un’Italia ignara passava dal dopoguerra al boom economico, dagli anni di piombo e quelli che hanno visto l’ascesa del Cavaliere. Grandi e meritatissimi applausi per La Ruina, che ha potuto avvalersi delle musiche originali eseguite dal vivo da Roberto Cherillo. Produzione Scena Verticale.
Italo Interesse
Pubblicato il 30 Gennaio 2013