Nel Trani à gogò
Nel maggio di 52 anni fa la Ricordi pubblicava il nuovo 45 giri di un rampante Giorgio Gaber. La facciata A era occupata da una canzone che per via del titolo mise in difficoltà molti pugliesi. Che poteva significare ‘Trani à gogò’? Già pochi sapevano che quell’allocuzione avverbiale significa : a profusione, essendo un raddoppiamento scherzoso della sillaba iniziale del francese ‘gogue’ (divertimento, piacere). Ma quel ‘Trani’…? Quando ancora esisteva la Milano dei milanesi (cioè sino alla fine dell’ultimo dopoguerra), lì le osterie venivano dette ‘trani’. Avevano cominciato a chiamarsi così verso la fine dell’Ottocento allora che i vini pugliesi sbarcarono nel capoluogo lombardo (si vuole che tutto sia cominciato con un litigio doganale fra Italia e Francia che chiuse la via delle Alpi al nostro prodotto). Perché allora dare proprio del ‘trani’ ad ogni bottiglia? Viene da pensare che un anno una partita di vino di Trani abbia destato tanto di quello scalpore da spingere gli addetti ai lavori – per ragioni di praticità – a battezzare con quell’appellativo (‘trani’) qualunque botte venuta dalla Puglia. Quando più in là a Trani fiutarono l’affare, molti emigrarono a Milano per avviare un lucroso commercio. Con i primi proventi rilevarono osterie o ne aprirono di nuove dove si serviva a buon mercato solo vino pugliese, che essendo tropo corposo veniva tagliato con i vini leggeri del Pavese. Il successo fece entrare il termine (‘trani’), nel dialetto milanese ; e da ‘trani’ deriva ‘tranatt’, cioè frequentatore di osterie. A frequentare i trani era povera gente : barboni e operai, per lo più. Più avanti però cominciarono a mettervi piede anche gli artisti, attratti dal clima cordiale. Tra questi, gente come Banfi e, appunto, Gaber. Il primo racconta : “Andavo nei trani e iniziavo a canticchiare delle canzoni facendo finta di essere nero, con una calza in testa in cambio di un pasto e un bicchiere di vino. Capii da subito che il nostro linguaggio dialettale faceva ridere”. Quanto a Gaber il testo della sua canzone illustra bene il clima di questi locali “abbastanza per male” dove c’è “chi gioca a boccette e chi fa a cazzotti… il gruppo affiatato che intona stonato : Mi sun alpin… un pregiudicato uscito da poco che spiega a un amico l’errore che fece… il finto pittore col finto scrittore che parlan di sé tra sé e sé…” e poi tutta una fauna di micro figure (il tipo che in pista non sbaglia mai un passo, l’anziano che al tresette ci ha rimesso il paltò, la vecchia zitella che cerca l’amor…). Oggi i trani non esistono più. Per meglio dire, locali col quel nome ce n’è a iosa ma l’atmosfera non è più la stessa. Si serve solo vino doc, è possibile assaggiarvi cibo etnico, qualche vedette fa da richiamo, la pulizia è inappuntabile, il servizio anche. Solo l’emozione non è più à gogò.
Italo Interesse
Pubblicato il 16 Aprile 2014