Cultura e Spettacoli

Nella cisterna la riserva d’oro blu

Quando in Puglia si beveva l’acqua delle cisterne la pulizia delle stesse era determinante. Per evitare che piccoli animali potessero scivolarvi all’interno si usava aggomitolare frammenti di reti da pesca all’imbocco dal quale scendeva l’acqua piovana. La precauzione comunque non impediva che l’acqua, quando stagnante, si popolasse di muffe e alghe. Si rimediava ‘muovendo’ l’acqua quotidianamente calandovi il secchio almeno una volta. Sistema più efficace era l’impiego della pietra di calce. Avvolta dentro una reticella e lasciata sospesa a mezza altezza tra pelo d’acqua e fondo essa ‘sfrigolava’ sino a consumarsi del tutto ; l’effetto era straordinario. Altri contadini usavano le anguille, che per quanto pesci d’acqua salata e salmastra si adattano nell’acqua dolce. Nutrendosi dei microrganismi che l’acqua produce spontaneamente, le anguille potevano vivere addirittura per anni. Nonostante queste preoccupazione, però, periodicamente le cisterne avevano bisogno di manutenzione ; poteva essere infatti che alberi anche lontani, percependo l’acqua, spingessero le radici nella sua direzione fino a perforare le pareti della cisterna, che così ‘perdeva’ . Bisognava allora svuotare questa e che un operaio si calasse al suo interno. Venivano scelti uomini dalla corporatura particolarmente esile giacché il diametro dell’imboccatura superava solo di una decima di centimetri quello di un secchio ; in alternativa bisognava frangere l’imboccatura che, per il fatto di consistere in un blocco unico di roccia pazientemente scolpito, aveva un valore non sempre alla portata di poveri mezzadri. La riparazione non era facile. Là sotto mancava l’aria (in due non si poteva lavorare) e l’unica fonte di luce, la candela, rubava a sua volta ossigeno. L’impermeabilizzazione, al presente realizzata con appositi intonaci idraulici a matrice pozzolanica o calcarea, un tempo avveniva stendendo prima uno stato di malta e poi sullo stesso un miscuglio di calce e sabbia. Una ‘passata’ finale di calce chiudeva il lavoro. In origine i secchi erano in legno. In seguito vennero sostituiti da più affidabili manufatti in rame o lamiera stagnata ; oggi si usano solo secchi di plastica (ma ancora oggi nelle aree più desertificate si usano primordiali secchi in pelle, come dimostra l’immagine a corredo di queste righe). E quando la corda si rompeva e il secchio precipitava? Nei giorni della civiltà contadina gli sprechi erano inconcepibili e anche un secchio, in legno o metallo, aveva un valore. Per recuperare i secchi perduti si adoperava il ‘croccio’, una specie di amo ad ancoretta con più uncini. Calato, il croccio frugava sul fondo fino ad agganciare il secchio. Operazione che richiedeva non poca pazienza, quasi mai riuscendo al primo tentativo.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 22 Ottobre 2013

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