Cultura e Spettacoli

Niccolò, sei figli senza fortuna

Niccolò Piccinni ebbe famiglia numerosa, il cui mantenimento gli costò per tutta la vita gravi crucci. In ‘Niccolò Piccini, vita ed opere’ di Pierre Louis Ginguené si legge quanto segue : “Gravato da tutte queste perdite, che cosa poteva fare un padre di famiglia che tra Parigi e Napoli aveva ogni santo giorno ben ventidue persone da nutrire con il solo frutto del suo solo lavoro?” No, Piccinni non ebbe poi tantissimi figli ; forse in quel ‘ben ventidue’ vanno messi in conto parenti a carico, fantesche, e camerieri. Diversamente, il passo sarebbe in contrasto con quanto lo stesso Ginguenè dice quando più avanti riporta una confidenza del suo fraterno amico : “ E’ con questa piccola pensione che viviamo io, mia moglie, quattro figli e due sorelle, noi trasciniamo la vita…”. La famiglia poi dovette allargarsi  poiché l’unico biografo di Piccinni conclude così la sua preziosa opera : “Egli lasciò (Piccinni morì nel 1800 –  n.d.r.) una vedova e sei figli… delle sue quattro figlie, una sola è maritata, due vivono a Parigi con la madre e la quarta a Napoli con il resto della famiglia. Il maggiore dei due figli maschi vive a Parigi, mentre il secondo – Luigi – fa il compositore in Svezia e nel 1784 ebbe a comporre per Parigi una piccola opéra-comique dal titolo Les Amours de Chérubin”. E veniamo agli altri figli di cui si ha notizia. Detto di Luigi, ecco Giuseppe Maria Piccinni che scrisse il libretto di ‘Le faux Lord’ (che il padre musicò nel 1783) ; in precedenza si era fatto conoscere con una traduzione in versi delle lettere di Abelardo ed Eloisa e un elogio in prosa del Metastasio. Scrisse poi i libretti di ‘Lucette’ e ‘Le mensonge officieux’, ancora musicati dal padre rispettivamente nel 1786 e nel 1787. Quanto alla figlia maggiore, quella sposata, ella – se ne ignora il nome – verso la fine del 1792 si maritò con un giovane commerciante francese di nome Padrez Prestreau il quale viveva a Napoli da nove anni e che dopo la Rivoluzione non aveva più nascosto i suoi sentimenti per la libertà del suo paese. Ciò costò al povero Piccinni seri grattacapi. La sua opera ‘Ercole al Termodonte’ fu fischiata senza pietà e non andò oltre la terza replica. Accusato di giacobinismo ‘indiretto’. Il Nostro rischiò di vedere la pensione di 6000 ducati annui accordatagli dal re di Napoli arraffata da due suoi allievi “innominabili” (Paisiello e Cimarosa). Dovette anche patire per alcuni anni quelli che oggi chiameremmo arresti domiciliari. Infine, ci sarebbe Adelaide, una figlia morta prematuramente. In una lettera che Piccinni spedì il 6 maggio 1787 a Ginguené leggiamo :”… La mia malattia, unita a quella di mio figlio e della mia bella figlioletta Adelaide che sfortunatamente ho perduto mi ha trascinato in una terribile condizione…”.
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Pubblicato il 3 Agosto 2011

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