Cultura e Spettacoli

Nicola De Giosa, duecento anni fa

L’atteso anniversario, il duecentesimo della nascita, è arrivato. A tagliare tale traguardo quest’anno – per la precisione bisognerà aspettare il 3 maggio – è Nicola De Giosa, compositore barese, secondo per fama solo a Niccolò Piinni (tant’è che a suo tempo si pensò di dedicargli il Petruzzelli). Nicola de Giosa studiò a Napoli, presso il celebre conservatorio di San Pietro a Maiella, dove fu allievo prediletto di Donizzetti. Ma per un contrasto sorto col direttore, Saverio Mercadante (un altro pugliese), non riuscì a concludere gli studi. Il talento di De Giosa tuttavia non ne risentì. Già a 23 anni il Nostro era in cartellone al Teatro Nuovo con la sua opera d’esordio, ‘La casa degli artisti’. Altrettanta buona accoglienza incontrarono ‘Evelina’ (1945), ‘Ascanio il gioielliere’ (1847) e ‘Le due guide’ (1848). I tempi erano maturi per il successo, che giunse con ‘Don Checco’, opera buffa in due atti su libretto di Almerindo Spadetta (nell’immagine, la locandina).  Alla prima, che ebbe luogo al San Carlo l’11 luglio 1850, era presente il re, Francesco II di Borbone. La vicenda di Don Checco, questo povero diavolo oppresso dai debiti che grazie ad un equivoco riesce a venir fuori dai guai al contempo consentendo a due giovani innamorati di coronare il loro sogno, divertì particolarmente il Borbone il quale in seguito non avrebbe perduto una sola replica dell’opera (repliche che in tutto furono 96; il più recente allestimento, ma in forma solo orchestrale, ha avuto luogo il 15 marzo 2013 allo Showville di Bari). Divenuto l’alfiere della scuola napoletana, De Giosa prese posizione contro l’operetta che aveva appena fatto ingresso nel tempio dell’opera buffa partenopea (il Teatro Nuovo) e per arginarne il successo compose il ‘Carnevale di Napoli’ nel 1876. Fu quello il terz’ultimo lavoro di una produzione che sarebbe stata ben più fertile se il Nostro non fosse stato il perfezionista che era, un limite che lo avrebbe portato a continue e interminabili revisioni delle sue partiture. Dopo ‘Il conte di San Romano’ e ‘Rabagas’, De Giosa si dedicò e con successo alla direzione orchestrale. Come direttore, non apprezzando Wagner, si rifiutò sempre di eseguirne le musiche in concerto. Questo irrigidimento gli alienò le simpatie di Verdi, il quale, in occasione della prima mondiale di ‘Aida’ al Cairo, non lo volle come direttore, malgrado in quei giorni De Giosa dirigesse una compagnia d’opera italiana divenuta stabile presso il Teatro Reale della capitale egiziana (a dirigere in sua vece fu chiamato Giovanni Bottesini). Ma non si può escludere che nel delicatissimo clima politico del neonato Regno d’Italia abbiano nuociuto all’artista barese sia l’aver composto a suo tempo brani d’occasione per i Borbone, sia l’appartenenza ad una cultura, quella partenopea, ritenuta inferiore dalla sprezzante ed egemone Torino. Nicola De Giosa scrisse anche musica da camera e musica religiosa. Morì nella sua Bari il 7 luglio 1885. Il Comune volle dedicargli la ben nota via. Una sua statua, miracolosamente scampata al rovinoso incendio del 1991, è presente nel foyer del Petruzzelli.

 

Italo Interesse


Pubblicato il 9 Gennaio 2019

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