Non c’è retata o arresto che tenga: già tornati per strada a Bari gli accattoni dei clan
“Racket dell’accattonaggio a Bari, ancora una gang scoperta dalla Questura diretta da Antonio De Iesu”, la notizia di cronaca più gettonata data in prima pagina da tutti i giornali e tv locali meno di una settimana fa. Raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare perfino il capo dell’organizzazione, accusato di aver sfruttato per mesi alcuni mendicanti ridotti in condizioni terribili, per meglio impietosire chi doveva convincersi a lasciare anche pochi spiccioli ai poveracci accampati vicino ai semafori più trafficati del capoluogo pugliese. Le vittime, con evidenti malformazioni, sarebbero state portate dalla Romania in Italia, anche dopo essere state comprate, per farle elemosinare, a forza di botte, ai semafori o nei punti di maggiore traffico a Bari, come avviene in tante altre città italiane. E così, con la promessa di farli lavorare, in realtà giovani e meno giovani, donne e uomini, erano costretti a chiedere l’elemosina pure nei pressi di alcuni supermercati, picchiati se non riuscivano a portare come ‘incassò a fine giornata almeno 30 euro ciascuno. Ma già dall’altro ieri, come si può notare dalla foto a corredo di questo articolo, scattata lunedì 10 novembre – attorno alle sedici – ai piedi del sovrapasso-pedonale di Via Giuseppe Capruzzi, un mendicante è tornato per strada, per elemosinare. Segno evidente che non c’è dichiarazione del questore o retata che tenga a Bari, di fronte ai sempre più tracotanti racket dell’accattonaggio, pronti a riciclarsi in poche ore. Eppure si tratterebbe di un giro d’affari per i presunti schiavisti di migliaia di euro, dato che le presunte vittime sono una ventina in totale e le indagini, attraverso pedinamenti e intercettazioni, hanno ricostruito un’attività da parte dei clan di nomadi che è andata avanti quotidianamente negli ultimi mesi. Nell’ambito dell’inchiesta, che dovrebbe sfociare presto a processo, ai capi del clan arrestati potrebbero essere contestati reati gravi, dalla riduzione in schiavitù, alla tratta di schiavi e anche «acquisto e alienazione di schiavi», previsto dall’art. 602 del codice penale. Tutto questo perché in alcuni casi i nomadi avrebbero anche comprato alcune vittime dai paesi dell’Est, pagando i loro familiari, per condurle in Italia e poi costringerle a elemosinare. La gran parte delle persone sfruttate in questo racket dell’accattonaggio, peraltro, ha anche seri problemi fisici e menomazioni, per rendere più convincente la richiesta di denaro agli occhi dei baresi. Che hanno trovato il coraggio di denunciare i presunti schiavisti grazie al coraggio di una giovane appartenente ad una delle tante associazioni umanitarie che operano a Bari. Una donna che ha trovato il coraggio di fare finalmente ciò che molti baresi non fanno più per colpa dell’indifferenza o dell’assuefazione a un fenomeno più triste, inumano e repellente, che pericoloso per la collettività…
Francesco De Martino
Pubblicato il 12 Novembre 2014