Cultura e Spettacoli

Non sempre al circo si fa festa

Con buona pace degli animalisti, al circo si fa festa. Qualche volta no. Può essere che un domatore venga sbranato sotto gli occhi della folla, che un toro incorni a morte un cammello (successe a Bormio sei anni fa) o che per un qualche errore un elefante schiacci chi lo conduce; e in passato, quando le reti di protezione non erano obbligatorie, non pochi acrobati hanno perso la vita sbagliando un numero. Ma c’è di peggio: il tendone può andare a fuoco. Premesso che ciò è oggi impossibile dato l’impiego di tessuti ignifughi, in passato tragedie di questo tipo hanno fatto non poche vittime tra animali e persone. Nel 1942 a Cleveland la parte del tendone del Cleveland Circus prossima al serraglio prese fuoco. Spettatori e circensi riuscirono a mettersi tutti in salvo. Pochissimi animali, invece sfuggirono alla morte (pietosamente, la polizia dovette abbattere ventisei bestie in agonia). Il 6 luglio 1944, a Hartford nel Connecticut, ad andare a fuoco fu il circo più grande del mondo, il Ringling Brothers e Barnum & Baile. Presa dal panico, la folla (settemila persone) si precipitò verso le uscite, due delle quali erano bloccate dagli scivoli adoperati per l’ingresso in pista degli animali. Fra gente ustionata, schiacciata, intossicata dal fumo o lanciatasi dagli spalti morirono 169 persone ; settecento furono i feriti. La vetta di questo tipo di tragedia fu toccata il 17 dicembre del 1961 a Niteròi, vicino Rio de Janeiro. Nel rogo del Gran Circus Americano, su tremila spettatori, perirono quasi cinquecento persone, in buona parte bambini. E le vittime sarebbero state anche di più se un elefante terrorizzato non avesse strappato un grosso lembo del tendone in fiamme aprendo un varco attraverso il quale centinaia di persone si misero in salvo. Le dimensioni della tragedia furono tali che si rese necessario chiamare falegnami dai centri vicini per la realizzazione di bare. E data la scarsità di spazio nel locale cimitero, l’Autorità requisì i terreni di una fattoria dei dintorni per seppellire le salme di quegli innocenti. L’incendio, poi si scoprì, era doloso. E si riuscì pure ad assicurare alla giustizia il colpevole: tale Adilson Marcellino Alves, uno squilibrato che aveva inteso vendicarsi per l’essere stato assunto dalla direzione e subito licenziato durante il montaggio del tendone. Quanto alla qualità del tendone, la rapidità con cui esso prese fuoco venne imputata alla paraffina di cui il tessuto era stato impregnato per renderlo impermeabile. Particolare non trascurabile, ancora a fini di impermeabilizzazione era imbevuto di paraffina (sciolta in benzina o cherosene) il tendone che finì in fumo ad Hartford.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 17 Dicembre 2021

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