Cultura e Spettacoli

Non toccare Marte, grazie

Circa centomila persone si sono candidate per far parte del progetto Mars One, la prima colonia umana su Marte. Intrigato da tanto numero, Gabriele Paolocà vi scrive su un testo che porta in scena con lo storico sodale Michele Altamura. Diretto da entrambi e prodotto da VicoQuartoMazzini, ‘Vieni su Marte’ è stato in scena al Kismet sabato scorso. Il lavoro da un lato cerca di sondare il perché di tanta domanda di fuga, dall’altro prova a immaginare la curiosità di una popolazione marziana nei confronti dell’Uomo. Un velario separa la platea del palco, elemento necessario alla proiezione di numerose interviste. Ma una volta esaurita questa funzione (condurre lo spettatore attraverso una non appassionante galleria di insoddisfatti), il velario resta al suo posto, Non ne beneficiano gli interpreti quando è il loro momento poiché il tendaggio, pur trasparente, spegne figure e disegno luci col risultato di complicare la fruizione di azione e dialoghi. Meglio vanno le cose al momento del contatto fra  intelligenze. L’incontro, ovviamente ‘ravvicinato’, avviene a ridosso del velario, prima di spostarsi nell’ultima scena – finalmente – in proscenio. Ciò lo rende più godibile. Una fortuna perché qui il testo ha un acuto. Invece di umani scafandrati e  omini verdi, il contatto vede di fronte uno smarrito e ‘umanissimo’ marziano e un cialtrone terrestre, uno psicoanalista da Cassa Mutua. Il primo è in pasto al secondo. Allo smarrimento del povero ‘indigeno’ si oppongono la tracotanza e l’invadenza del nostro pensiero. Tra le righe, ‘Vieni su Marte’ sollecita un interrogativo : E’ un bene per il Creato che la razza umana spicchi il volo? Dovessimo mettere piede su Marte o attraverso qualche scorciatoia dello spazio/tempo su un pianeta che gira intorno a Sirio, porteremmo con noi la lezione di Socrate, di Dante, di Leonardo, di Van Gogh o di Mozart? Più facile viene da pensare a pianeti trasformati in discariche, in laboratori di sperimentazione per armi e automi, in luoghi di scontro per fazioni assetate di potere. L’Uomo teme gli Alieni, si dice. Dovrebbe essere il contrario. ‘Vieni su Marte’ riporta alla mente ‘Un marziano a Roma”, un racconto satirico-scientifico scritto nel 1954 da Ennio Flaiano, da cui anni dopo omonimi film e spettacolo teatrale. Nell’opera, Kunt, che viene dal pianeta rosso, atterra con la sua astronave nel galoppatoio di Villa Borghese e si presenta al mondo. Superato l’iniziale smarrimento, i romani lo adottano. Kunt fa vita di società e sperimenta subito la pochezza dei Terrestri, cui inutilmente partecipa lo scopo della propria missione : rovesciare la tentazione al suicidio insita nell’Uomo. Ma le sue parole hanno un effetto non più che epidermico. Svanito l’effetto novità, i romani si abituano a Kunt e finiscono poco a poco con l’ignorarlo. Ora che non fa più notizia, Kunt si aggira solitario e malinconico per le vie di Roma. Qualcuno addirittura lo sbeffeggia, qualcun altro gli suggerisce di ripartire…. Fin qui Flaiano. Oltre Flaiano, può esserci  Kunt che, confuso e depresso, prova a mettere ordine nel proprio pensiero. Ed eccolo tra le grinfie di un meccanico del pensiero… Siamo così tornati a ‘Vieni su Marte’, L’arrogante figura dello strizzacervelli disegnata da Paolocà incute paura. Perché è quello lo spirito con cui la nostra razza sogna di espandersi nell’Universo. Sotto la buccia di una filosofia da Dopolavoro, in questo disegno spazio-imperialista che comincia da Marte scalpita la stessa spietata ingordigia con cui in passato l’Occidente mise piede nella Americhe e poi inventò il colonialismo.

 

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 11 Aprile 2019

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