Il sig. mario delpini, nuovo arcivescovo di milano, se n’è uscito con una frase di tendenza bergogliana, ben sapendo che si fa con le parole, ciò che si fa, s’è fatto, si farà con miliardi di uomini; con ciò che ad essi, purtroppo, accade, è accaduto, accadrà: nascono, nacquero, nasceranno o li si fa nascere, li si fece nascere, li si farà nascere; poi, muoiono, morirono, morranno o li si fa morire, li si fece morire, li si farà morire. Vivere? Non se ne parla, non se ne parlò, non se ne parlerà. Quale la frase detta, tanto per dire, dal porporato? “Immaginare una società dove nessuno si senta straniero”. Frase che il mio Maestro di Filosofia Teoretica, Giuseppe Semerari, al Quale in quest’ora non posso EsimerMI dal Rivolgere il grato, filiale Ricordo, avrebbe Definito ideologica, non Utopica. Quali gli ideologi, secondo Semerari? Coloro che immaginano i Migliori Mondi Possibili, ma, per motivazioni che, se elencate, analizzate, giudicate, toglierebbero molto tempo e spazio al mio Scritto, non indicano i viatici da percorrere e gli ostacoli da rimuovere, perché Essi possano essere Realizzati. Il nazareno, secondo Semerari, fu il classico ideologo, soprattutto, quando sparò il famoso “apoftegma”: “Ama il prossimo tuo, come te stesso”. Avrebbero, mai, potuto, fraternamente, amarsi gli uomini che vissero durante il “pleroma”, cioè, la pienezza dei tempi nei quali l’imperialismo schiavistico romano si sviluppò, con ferocia inaudita, insopportabile, nei territori gravitanti intorno al bacino del mediterraneo e nell’europa continentale, ad est, al centro, ad ovest di essa; nei quali poche migliaia di fortunati banditi scialacquavano la ricchezza prodotta da un numero imprecisato di schiavi? Del resto, le medesime parabole evangeliche sono piene di fatti, di episodi in cui, senza che gli estensori di esse, apostolicamente, santificati, se ne adontassero, uomini vengono, con non celato disprezzo, apostrofati, appellati, chiamati servi. Gli schiavi avrebbero, mai, potuto amare chi li considerava cose, oggetti; avrebbero, mai, potuto amare il loro padrone, che nella preghiera a giove pregava per la loro salute (ovviamente, “cicero pro domo sua”: la salute degli schiavi era la salute del suo patrimonio, in cui gli schiavi erano compresi), dopo aver pregato per la sua salute, per quella della sua famiglia, per quella del suo bestiame? Per quanto riguarda l’istituto della schiavitù e della servitù della gleba non ci fu, mai, sostanziale discontinuità tra il pensiero di platone, aristotele, seneca, e il silenzio, che, propriamente, fu assenso alle nefandezze dei due istituti, testé citati, da parte dei pensatori cristiani e della chiesa cattolica. Aristotele in “Politica I,4-5”, sadicamente, afferma: ”Perciò la natura vuol segnare una differenza nel corpo dei liberi e degli schiavi: gli uni l’hanno robusto per i servizi necessari, gli altri eretto e inutile a siffatte attività, ma adatto alla vita politica (…) dunque è evidente che taluni per natura sono liberi, altri schiavi, e che per costoro è giusto essere schiavi”. Se, dunque, c’erano uomini, naturalmente, alla politica vocati e, poiché per i greci disonorevoli erano i lavori manuali, aristotele concludeva che, se la spola non poteva da sé andare avanti e indietro per il telaio, evidente era la necessità di mani di schiavi che la facessero muovere. Era la giustificazione della schiavitù, secondo la “ragione” di chi schiavo, per natura, non era nato, che aveva un fondamento logico, espressione dell’irrazionalità istintuale dell’uomo. Culto del ”logos”, come culto razionale dell’umano egoismo? Non, “tamen”, esclusività delle epoche “d’antan”, ché se si pensa al ’700, al secolo dei “lumi”, nei quali tutto veniva sottoposto al vaglio della “ragione”, capace di assicurare un avvenire migliore dei tempi passati, non possiamo non verificare che, mai, come quando la “ragione” ha imperato, scandalose sono state la manifestazioni di schiavismo. Allora, è d’uopo ridefinire lo statuto semantico del termine ”ragione”: che è la capacità, la facoltà del pensiero dell’uomo di stabilire rapporti e connessioni logiche tra le idee, che è a fondamento del conoscere e dell’agire. Ma ci sono uomini e uomini; alcuni di costoro si considerano portatori mitici di verità e, quindi, fanno passare per ragionevole, impongono che sia ragionevole la realizzazione della loro “ragione” a danno della ragione degli altri. Giuseppe Casillo Lamenta che “forse a generare i mostri non è, come voleva Goya, il sonno della Ragione, ma la sua veglia”. Saltando a piè pari, quasi, due millenni, con l’enciclica “Rerum novarum” di leone XIII, pubblicata il 15 maggio del 1891, la chiesa cattolica incomincia ad interessarsi, “cum grano salis”, con molta circospetta moderazione, degli operai, gli schiavi della prima rivoluzione e della seconda rivoluzione industriale. Codesto documento ritenuto fondamentale per comprendere, ripeto, la moderata dottrina sociale del papato cattolico, ma che, già, da tutte le tendenze politiche cattoliche fu, appena, accettato come un programma minimo su cui impostare il futuro degli interventi sociali di esse, ribadiva la sua avversione al socialismo ateo, il carattere naturale della proprietà privata, incoraggiava norme di solidarismo cristiano, l’accordo reciproco tra lavoratori e datori di lavoro, riteneva ingiusta una eccessiva sperequazione della ricchezza, ammetteva l’intervento dello stato per tutelare i diritti dei lavoratori (il riposo festivo e l’orario di lavoro), riconosceva lecite le organizzazioni operaie. Insomma, una profetica impostazione, canovaccio del futuro sistema corporativo fascista. Infatti, uno degli obiettivi del fascismo sul piano dell’organizzazione economico – sociale dello stato era la realizzazione di un sistema in grado di attenuare i contrasti tra capitale e lavoro al fine della presunta, irrealizzabile armonizzazione degli interessi di diversi gruppi sociali e arrivare al superamento della lotta di classe. Inoltre, gli interventi dei papi cattolici, tra i quali, anche, quelli del mitizzato, ormai, bergoglio, sulla corruzione, sugli ingiusti arricchimenti, sulla forbice che, ognora, si allarga tra i pochi che molto hanno e i molti che niente hanno, sortiscono da stimoli umanitari, Dice Giuseppe Cassillo, o da preoccupazioni politiche, cioè, “sono un modo come un altro per trasporre sul piano morale i conflitti sociali per risolverli senza intaccare minimamente l’ordine stabilito”? Quali, invece, finalmente, gli Utopisti, secondo Semerari? Coloro, tra i quali Carlo Marx, che Immaginano il Migliore dei Mondi Possibili, che non c’è, mai, stato, che non c’è, ma Ritengono che si potrebbe Realizzare, se si Rimuovessero gli ostacoli di ordine politico, culturale, sociale, economico che ostano alla sua Realizzazione. Via, quindi, istituti o istituzioni millenarie, come gli stati, le “sacre” famiglie che hanno chiuso, sempre, gli uomini in orticelli da coltivare a danno, magari, o in competizione di/ con altri vicini e, addirittura, lontani; via la proprietà privata, specie, la grande o grandissima, frutto storico di furti immani, di grassazioni, rapine a intere comunità di uomini inermi; collettivizzazione dei beni di produzione; lotta di classe, senza quartiere, fino a quando gli Uomini Si Libereranno delle secolari catene e a Ciascuno sarà Dato secondo i suoi Bisogni e le sue Capacità. Da anni l’occidente ricco, l’europa, specialmente, è in ambasce per l’apocalittico esodo di centinaia di migliaia di uomini che fuggono dai loro paesi a causa di guerre civili, delle indicibili, inenarrabili, immedicabili povertà, carestie in cui sono costretti a sopravvivere. Vorrei chiedere al sig. delpini e al sig. bergoglio, suo mèntore: ”Come si fa ad immaginare un mondo, una società, in cui nessuno si senta straniero o, addirittura, estraneo, se non si mette in discussione l’ordine mondiale, fatto di confini statali ed entro i medesimi di cerchie, di clan, di casate famigliari, per cui chi sta al di là, sia dei primi, che dei secondi, per un fatto istituzionale, poi, per assuefazione culturale, diventato naturale, non può non essere considerato un intruso, un clandestino, un barbaro, alla greca, da escludere, razzisticamente”? Perché, finalmente, non si Ammoniscono coloro che si chiudono nei confini, or ora accennati, che tutti siamo figli del pianeta terra; che le ricchezze in esso contenute sono di tutti, devono servire a tutti in eguale misura e, Imitando il manzoniano Padre Cristoforo, Richiedere la Punizione della Mano Divina nei riguardi dei don Rodrigo di oggi che le requisiscono, anche, grazie all’indolenza delle plebi, delle futilità calcistiche o pseudocanore, alla vasco rossi, interessate, al loro esclusivo uso e consumo? Capisco che qualcuno potrebbe irridere la mia infantile Ingenuità nel PorMI siffatte, ovvie Domande, ma Operiamo una “regressione barbarica”, Liberiamoci della Storia, “Bypassiamo” la rivoluzione agricola, che produsse l’autoconvincimento di una minoranza di ladroni che fosse loro diritto con la violenza esigere da un maggioranza di uomini, schiavizzati o costretti a servirli, l’utile intero del defatigante lavoro di essi, non troviamo comunità di uomini (non ancora, mentalmente, inquinati dalle incrostazioni, dalle sovrastrutture pseudoculturali, quali le falsità religiose e i capziosi cavilli giuridici, elaborati da intellettuali organici ai ladroni, di cui sopra, che giustificavano i latrocini, le angherie dei loro committenti) che vivevano in pace, nessuno all’altro estraneo; che si dividevano, equamente, il cibo ottenuto dai loro tentativi di caccia; che si difendevano non dai loro simili,”sed”, solamente, dalle pericolose bestie feroci? Perché, ancora, imitando il manzoniano Padre Cristoforo, non si additano al pubblico ludibrio i veri, autentici responsabili di così catastrofico trasmigrare di popoli verso l’occidente e l’europa? Cioè, le classi dirigenti dei paesi che furono, rozzamente, colonialisti e, altrettanto, rozzamente, sono neocolonialisti, mantenendo al potere dei paesi ex colonizzati da esse/i tiranni sadici, dai quali ricevono a modicissimo prezzo politico le risorse minerarie e petrolifere del sottosuolo del loro territorio, ai quali corrispondono armi sofisticate, con le quali essi si possano mantenere al potere, a costosissimo prezzo di mercato. Sicché, in codesti paesi, ex colonizzati, nonostante ricchi di tutte le più preziose, tra l’altro in via di esaurimento, materie prime, per il rapporto neocolonialistico con le superpotenze mondiali, instaurato dai loro tiranni, è devastante la pauperizzazione delle loro popolazioni, che decidono la fuga da essi in cerca nell’occidente di un destino più dignitoso e umano che, sistematicamente, non troveranno. Dando la stura alle anime belle, come bergoglio e delpini, di parlare di accoglienza, sapendo che i transfughi dalle loro case, dai luoghi diletti, più caramente, troveranno situazioni culturali di razzismo e di guerra tra poveri, ché, anche, nell’occidente, nell’europa, economicamente, floridi, ci sono sacche di degrado e di povertà, che configurano il peggiore terzo mondo. Infine, poche righe per trattare dello “ius soli”. E’ indubitabile che chi nasce, pur da genitori non italiani, extra comunitari, sulla penisola italiana non può non essere considerato italiano e non può non adire al diritto della cittadinanza italiana. Alcuno idioti obiettano: ”Ma la cittadinanza italiana se la devono meritare codesti rampolli di non italiani: sentendosi italiani, conoscendo la lingua italiana, la storia d’italia, adeguandosi a valori, alle leggi, alle regole italiane”, in aggiunta ad altre idiozie, per non dire stronzate, del genere. Alle quali IO Rispondo. di rimando: ”Perché uno dei problemi più angoscianti, attualmente, non è il bullismo, perpetrato da fantolini italiettini, che sanno solo grugnire e non parlare italiano (lingua parlata e scritta, di carente Correttezza ed Espressività, persino, in insospettabili autorità politiche ed eminenze professionali), che non conoscono la storia, considerata un ”optional” nella scuola italiettina. Ammesso e non concesso che codesti ragazzi, generati da non italiani, si debbano meritare la cittadinanza, sarebbe necessario che le istituzioni italiettine creino per loro, come per i ragazzi figli di italiani, le condizioni sociali, economiche, culturali, ché possano essi Crescere, Maturare nel Cuore e nella Mente. Il fenomeno drammatico dei “foreign fighters” riguarda ragazzi pieni di rabbia per essere nati e vissuti in situazioni di nativa precarietà esistenziale e di sostanziale esclusione da ogni favorevole opportunità che potesse cambiare la loro vita. Il colore della pelle non c’entra, ché “foreign fighters” sono stati registrati, anche, tra ragazzi di pelle bianca. E, pur, se qualcosa con esso avesse a che fare il colore della pelle, non credo che le figlie colorate di obama, fortunate, nell’essere figlie, di un così piccolo, deludente uomo di colore, ma di immeritato successo politico, abbandonerebbero la loro lussuosa vita sociale, per cercare nell’aldilà la compensazione, facendosi trucidare, alla miseria (di cui non soffrono) dell’al di qua. E, certamente, per le medesime coincidenze vitali fortunate, nemmeno il rompicoglioni balotelli.
Pietro Aretino, già detto Avena Gaetano
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