Nuova o vecchia, la pietra incanta
Trascurati, crollano i muretti a secco che ancora costeggiano carrarecce snaturate dall’asfalto. Crollano e nessuno pensa a riaccomodare quanto resta di queste altre meravigliose testimonianze della civiltà contadina. Il ripristino avviene solo a ‘cornice’ di ville, masserie e fabbricati rustici. Parliamo di ripristino, non di restauro conservativo. Ciò significa che le vecchie pietre finiscono in discarica e al loro posto prende vita un muro a secco di nuova generazione, rifatto ex novo, certamente incantevole, tuttavia rispondente solo ad esigenze estetiche e scambiato per manufatto ‘secondo tradizione’. Niente vero. I muri a secco di oggi sono costruiti in tenero carparo, pietra di facile modellatura e della quale abbondano le nostre cave. Ma i contadini di una volta non vuotavano le tasche per comperare pietre (al cui prezzo si doveva aggiungere quello – ancora più alto – del trasporto) quando le pietre potevano trovarle in mezzo allo stesso terreno. E quel calcare, che ancora oggi si trova in superficie, non si presta facilmente all’opera di cesello. Può essere squadrato solo sommariamente. Il che comporta uno sforzo di composizione assai più complesso. Non di meno i nostri padri seppero realizzare capolavori. Alla bellezza dei muretti a secco non sono rimasti indifferenti gli scrittori di Puglia. Tra questi ci piace ricordarne uno. Nato ad Altamura il 7 marzo 1884 e morto a Bari il 4 giugno 1973, Tommaso Fiore fu prima sindaco della città natale (nel 1920), poi si consacrò all’impegno meridionalista. Fiero antifascista, patì il carcere per motivi politici. Nel dopoguerra, periodo nel quale fu anche docente e Provveditore Agli Studi, potette dedicarsi alla scrittura. A parte poche liriche composte durante la detenzione, non fu un poeta. Eppure, quanto spontaneo lirismo nella sua prosa limpida e calda. Tornando ai muretti a secco, sentite con quale stupore pieno di ammirazione si esprime in proposito : “E dovunque muri e muretti, non dieci, non venti, ma più, molti di più, allineati sui fianchi di ogni rilievo, orizzontalmente, a distanza anche di pochi metri, per contenere il terreno, per raccoglierne e reggerne un po’ tra tanto calcare. Mi chiederai come ha fatto tanta gente a scavare e allineare tanta pietra. Io penso che la cosa avrebbe spaventato un popolo di giganti. Questa è la Murgia più aspra e sassosa… non ci voleva meno che la laboriosità d’un popolo di formiche”. E’ un passo del suo capolavoro : ‘Un popolo di formiche’, un libro che nasce come reportage nel mondo dei cafoni del Mezzogiorno, reportage consistente in lettere che Fiore inviò a Piero Gobetti nel 1925 e che dopo vennero pubblicate su riviste letterarie (‘La rivoluzione liberale’ e ‘Coscientia’). Con ‘Un popolo di formiche’ Tommaso Fiore si aggiudicò nel 1952 il Premio Viareggio.
Italo Interesse
Pubblicato il 7 Luglio 2018