“Obscuritas fidei”
Per Amore di Verità abbiamo il Dovere di Ammettere che questo nostro Scritto si avvale della Lettura non del testo completo dell’enciclica firmata da jorge mario bergoglio, sebbene di ampie sinossi di essa, pubblicate da vari giornali. Non è inutile Precisare che la ”Lumen fidei” si compone di una introduzione, di 4 capitoli, di una conclusione. E’, eziandio, opportuno anticipare che le 6 partizioni, con cui è allestito il documento ratzingerianobergogliano, sono zeppe di parole, consuete nel lessico dei chierici vaticani, che, “tamen”, non si ordinano in una frase dall’intenso significato, in un concetto, in una moderna, concreta visione del mondo. Galleggiano esse in uno spazio bianco; se, anzi, vogliamo essere più pregnanti, in uno spazio rosso che nei millenni ha lambito i confini del mondo, in cui i maggiorenti vaticani hanno amato affossare il messaggio del vangelo che, a conti fatti, date le sue aporie, non produsse, non produce, non produrrà cambiamenti nelle umane relazioni. “In illo tempore, hodie, cras” ingiustizie, guerre, sangue, la chiesa cattolica non ha, giammai, mancato di metterci del suo e la speranza, da essa invocata a quintali, dove, come, quando ? “Chi crede, vede” è scritto dalle 4 mani di ratzinger – bergoglio. Infatti, per il duo papale, la luce della fede, direttamente da dio promanata, sarebbe stata capace di illuminare l’esistenza dell’uomo, provenendo dal passato, in cui gesù avrebbe operato ed evangelizzato e, sempre, da dio sarebbe irradiata dal futuro, dischiudendo ai fortunati uomini ampi orizzonti. NOI, invece, Ribaltiamo la posizione dei due verbi, usati dai due papi, e, perentoriamente, Affermiamo che solo “Chi Vede, Crede”, cioè solo Chi non si accontenta in modo consolatorio, con mentale pigrizia, Diremmo, di credere in ciò che altri hanno creduto da millenni, ma con gli Occhi suoi Vede, Osserva, Sperimenta, Analizza ciò che è, Studia con mente pura ciò che è stato nella Storia, è Autorizzato a Credere che il Mondo Possa essere Cambiato, che il Luogo che non c’è, mai, stato, che non c’è, ancora, domani Possa EsserCi, Rimuovendo gli ostacoli che si frappongono alla completa, totale Realizzazione del Bene sulla Terra tra gli Uomini. L’ Utopia, Ripetiamo, il Luogo che non c’è (dal greco, u – topos, non luogo), non è la speranza in una felicità ultraterrena, vissuta, magari, all’interno di giardini rinfrescati da acque da mille e mille fontane, eternamente, zampillanti e con i sensi lievitati dall’apparizione di corpi di indicibile Bellezza, ma è la Certezza che si Possa Sconfiggere il Male o una certa quantità e qualità di Male, in ogni caso da Circoscrivere entro precipui contesti culturali, sociali, economici, politici (ché quando i due papi si sciacquano la bocca, contrapponendo il Bene al Male, devono, finalmente, dirci cos’è il Bene e cos’è il Male e siamo Sicuri che si troverebbero nell’impossibilità di farlo in quanto ogni definizione di Essi escluderebbe le infinite Epifanie del Bene e del Male nelle tragiche, spesso, raramente, serene, vicende dei popoli e degli uomini), Spazzando via lo sfruttamento dell’uomo sull’Uomo, Dichiarando che le ricchezze della Terra sono di tutti; che non ci debbano essere singoli, popoli, comunità, sette, gruppi che possano arrogarsi il diritto di appropriarsi di ciò che è di tutti; che, essendo la Terra il pianeta – patria di tutti, qualsiasi angolo di Essa debba poter essere abitato, coltivato, antropizzato da chiunque lo voglia, senza che nessuno, singolo o comunità statale, possa impedirglielo, accampando l’esclusività di abitazione o di uso ché di esso proprietari. Quindi, su tutta la Terra non sarebbe utopistica la cancellazione nelle costituzioni degli stati del diritto di proprietà che, spesso, è proprietà di enormi porzioni del nostro pianeta. Infatti, in siffatte costituzioni non si distingue tra piccole, irrisorie proprietà acquistate a prezzo di disumani sacrifici, e proprietà vastissime, ognora, frutto di furti, ereditate da maggiori, impuniti arraffatori di beni comuni. Nella nostra costituzione, ad esempio, all’Art. 42 si legge “La proprietà è pubblica e privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge…”. Non CI risulta che i sacri patiti gallonati del “Lumen fidei” abbiano, mai, ammonito i credenti a non sottrarre agli altri una parte del Tutto che è di tutti; mentre hanno giustificato il proditorio latrocinio con l’invenzione del diritto, da essi professato naturale, qual è quello di proprietà, ascrivibile allo stato o ai singoli. Ancora, i due papi favoleggiano che la fede ci consegna alla misericordia di dio che, amorevolmente, “raddrizza le storture della storia”. La prolificità scrittoria dei provvisori inquilini dei sacri palazzi vaticani non sorvola sul fatto che la Storia è stata, è, sarà, ovviamente, produttrice di cadaveri; comunque, li immagina ad una speciale vita riavviabili, grazie a esperimenti simil – galvanici, che includono l’inversione della sequenza vita -morte, operata da dio, tutta, però, nella materia grigia dei mitrati cattolici: così, dalla vita alla morte e basta, si passerebbe alla innaturalità sequenziale, dalla morte alla vita eterna. E’, forse, la fede un tessuto liquido di parole menzognere che, quale onda marina anomala, ci sommerge di fatti, di situazioni, mai, visti, anche se nel “Dream” di ognuno di noi affiora, sempre, il Voto che un “deus”, proiezione dei nostri limiti, della nostra impotenza, della nostra pigrizia, dell’ignoranza dei più, possa cassare non l’ ”error filius temporis”, come riteneva Pierre Bayle, “sed – come NOI Sosteniamo – “hominis filius” e imporre non la “veritas filia temporis”, come Bacone auspicava, fautore del progresso, “sed” la “Veritas” dall’Uomo Costruita, SottoponendoSi, una volta per tutte, alla “Paideia” degli orrori della Storia, intrappolata nel coacervo asfittico, meschino dei turgidi egoismi umani che nessuna fede è stata capace di divellere, di estirpare dal cuore umano ? Si legge. di seguito, nella “Lumen fidei” che cristo è ”degno di fede”, attraverso il quale dio interviene nella Storia e Ne disegna il futuro sino alla fine di Essa. A questo punto tutto si aggroviglia: i due, candidamente, vestiti (per il resto il candore della loro intera “terrestrità” è “sub sudice”), non avevano, precedentemente, detto che dio raddrizza le storture della storia ? Allora, dio se le canta e se le suona le storture della storia ? Fa le storture, per, poi, avere il piacere, la soddisfazione di raddrizzarle ? E quale sarebbe il termine ”ad quem”, in quale modo esso si configurerebbe, quali sarebbero i progetti di dio di cui, messo il punto fermo alla Storia, Egli potrà menar vanto di aver realizzato ? Non sarà il dio ratzingeriano – bergogliano, forse, parente dello spirito assoluto hegeliano che, dispiegandosi nella Storia, avrebbe riciclato, perfino, l’olocausto degli ebrei, hitler méntore ? Insomma, ciò che è reale è razionale, tutto è necessario ché dio possa, manzonianamente, stampare la sua orma tra le umane beghe, quelle, anche, messe in opra da banditi, come napoleone “et similia”. I due papi toccano il “diapason” della loro, fin troppo, ostentata, senza pudore, falsa ignoranza della Storia, quando sostengono che la fede è comprensiva, rispettosa, tollerante: il credente non è, intransigentemente, arrogante, in quanto, umilmente, testimonia la verità che è slancio, propulsione, incitamento alla convivenza con l’altro e al dialogo in tutti i viatici intellettuali in cui l’uomo è impegnato, specie in quello della scienza in quanto la fede affina lo spirito critico, proprio della ragione, senza il quale l’indagine scientifica non potrebbe avventurarsi oltre la fisica, la conoscenza della quale è possibile, grazie ai dati sperimentali in essa reperibili. A parte l’ovvia considerazione che con Kant e dopo Kant la metafisica non ha più niente da spartire con la Scienza, caso mai, solo con le illusioni, le suggestioni della fede, sarebbe troppo facile per NOI fare un elenco chilometrico in cui riportare, descrivere, denunciare episodi di insofferenza cruenta in grado di rivelare la strutturale incapacità della chiesa cattolica, sin dai suoi albori, di confrontarsi con tutto ciò che fosse, sia in dissenso, non con i testi sacri del cristianesimo, ma con le glosse mendaci ad essi del cosiddetto magistero dei gestori di turno del potere ecclesiale, annosamente, perpetuamente, in combutta con le forche, con le mannaie, con i roghi che il potere secolare gli metteva a disposizione per stroncare qualsiasi tentativo di innovare l’ ”ipse dixit” o l’ ”hic manebimus optime” degli interessati adoratori dell’ortodossia, non certo di divina ispirazione. E gli eserciti e quanti eserciti il vaticano ha invocato dalle potenze europee in auge in particolari storiche stagioni ché si facessero carico degli interessi mondani, della temporale millenaria, a far data dalla falsa donazione di costantino imperatore, autorità che i papi erano smaniosi di estendere su tutto lo stivale italico. A proposito, inoltre, della, mai, realizzata speculare sintonia tra fede e Ragione, basterebbero le torture inflitte a Galileo Galilei per avere la stura della fredda disponibilità degli arcigni custodi dell’ortodossia nel distinguere ciò che è, ognora, stata l’Umana Ambizione di, almeno, “Teorein”, Contemplare la Verità, ove il Sole, della Verità Simbolo, Si fosse Fermato, Si Fermasse (il fermati o Sole, della Biblica Invocazione) che, erroneamente, validava la Teoria Geocentrica, da ciò che lo Scienziato, per Antonomasia, Vedeva e, perciò, Credeva in quel gran Libro della Natura che gli Permetteva di invalidare non la parola di dio, nel suo Libro, poeticamente, trascritta,”sed” le interpretazioni stantie dei chierici che avevano tratto deduzioni ipostatizzate dalla lettura letterale di un testo poetico che nascondeva, nasconde l’autenticità dei fatti sotto il velo della Metafora. E fu, incontrovertibile, la Teoria Eliocentrica! Ben 4 secoli ché un papa ipotizzasse gli errori dei suoi teologi nel risolvere i contrasti tra fede e Scienza ché non liberi di slegarsi dai laccioli pseudofilosofici originari: non la presunta parola di cristo, altrettanto, presunta incarnazione di dio, ma il timore ingiustificato della curia vaticana di non essere più credibile dal momento che la Scienza aveva tolto il velo della metafora ad una Poetica Aspirazione dell’Uomo di Percepire, pur, intuitivamente, chi, cosa, spingesse il Sole – Verità all’improbabile correre intorno alla Terra. Quanti altri secoli occorreranno ché la chiesa cattolica spenga le fiamme che in “campo dei fiori” di roma, ancora, avvolgono le Carni, la Vita, le Opere, gli Scritti, il Pensiero, la Poesia di Giordano Bruno ? “Quando la fede viene meno, c’è il rischio che, anche, i fondamenti del vivere vengano meno”, scrive il bergoglio: nelle nostre città, senza la fede, sarebbe annientata la fiducia in noi stessi, l’unico collante tra gli abitanti di esse sarebbe la paura. NOI vorremmo chiedere al bergoglio se sia, unicamente, la fede cattolica a farsi fondamento positivo del vivere civile o, anche, la fede delle miriadi di confessioni religiose che negli ultimi tempi si sono, formalmente, aperte a un confronto interreligioso con risultati sconfortanti ché, se ciascuna di esse si gonfia di essere interprete del vero dio, se il capo di ciascuna di esse si dichiara unico vicario del vero dio, non potrà non continuare lo scontro tra monadi senza porte e senza finestre le une nei riguardi delle altre. Se, poi, il bergoglio si riferisce alla fede nel particolare cristo, dai cattolici venerato, allora, deve, finalmente, aprire gli occhi nel passato e nel presente e consentire che il cattolicesimo poco ha contribuito, se non per niente, alla Felicità di coloro che abitano la città terrena, specie, di coloro o dei gruppi, endemicamente, sfortunati, parteggiando per gli ingiusti e i malfattori distribuiti nel Tempo e nello Spazio, tanto che sarebbero necessari anni per numerarli, sì che, a mo’ di giustificazione, in un brano della liturgia della parola, si chiede perdono a dio ché non guardi ai peccati dei suoi fedeli e, aggiungiamo Noi, ai peccati dei suoi ministri, dei sedicenti suoi vicari, soprattutto, ma alla fede della sua chiesa. Quanto sangue in nome di dio, quanta corruzione di coloro che in nome di dio agiscono e rubano! Dice Roberto Calasso: ”… la parola ”fede”, per l’usura semantica che ha subito, spesso finisce per diventare un ostacolo e non già un aiuto per accedere al religioso…” Allora, continua Calasso, dovremmo produrre un ”gesto mentale” che ci solleciti (senza la mediazione di alcuno e di becere letture di documenti, che enfatizzano la nullità di paesaggi dottrinali, non vasti, variegati, ma, miserabilmente, stantii, unidimensionali) all’abbandono alla Provvidenza Divina, Utilizzando il “Divertissement” che Pascal Elaborò, cioè il suo”Pari”, la sua Scommessa che dio esiste, consapevole della inefficacia del metodo razionalistico cartesiano nella comprensione della complessità dell’uomo e dell’oltre l’uomo. Pertanto, sia bergoglio l’ultimo vicario di cristo e, come Ignazio di Loyiola, si lasci trasportare dalla mula che, naturalmente, senza seguire i sofismi gesuitici che gli appartengono, lo menerà, se non proprio a dio (non avendo, laicamente, egli scommesso sulla sua esistenza, ma, gesuiticamente, essendosi proclamato certo della sua esistenza), bypassando il suo controllo, verso ciò che per ogni Uomo é più importante, essenziale per FarSi Riconoscere Fratello dall’altro Uomo.
Pietro Aretino già Detto Avena Gaetano
pietroaretino38@alice.it
Pubblicato il 9 Luglio 2013