Cultura e Spettacoli

‘Occhio d’argento’, il gesto pietoso

Qualche giorno fa è stata annunciata l’identificazione del relitto che da quasi settant’anni giace sul fondale di Bari a un due miglia dal molo foraneo. A lungo si era pensato si trattasse di un mercantile italiano (il Brindisi 2). Pare invece si tratti di un mercantile USA, uno dei tanti colpiti dall’aeronautica germanica la notte del 3 dicembre 1943 e non scampato alla strage malgrado fosse fuori delle acque portuali del capoluogo, obiettivo della rovinosa incursione. A chiarire il dubbio è stato un team composto dal Prof. Franco Introna, medico legale, e dai sub Nico Fumai e Sabino Scianatico. Un lavoro prezioso del quale non si può non essere grati. Non è uno scherzo scendere a certe profondità e lavorare ; servono addestramento, disciplina e senso del sacrificio. E se la tecnologia dà una mano, tanto di guadagnato. Ma in passato i ritrovati della scienza erano poco più che rudimentali e inabissarsi col solo aiuto di uno scafandro significava rischiare dieci volte più che oggi. L’opera meritoria di Introna, Fumai e Scianatico ci riporta alla mente l’impresa che nel 1941 vide protagonista il palombaro barese Giuseppe Carofiglio. Il 14 marzo di quell’anno la nostra ‘Po’, una nave ospedale, veniva affondata da aerosiluranti inglesi nel porto di Valona. Nella tragedia scomparvero più di venti persone tra cui due crocerossine e un infermiera volontaria. A bordo della nave era imbarcata come infermiera volontaria Edda Mussolini Ciano. Salvatasi gettandosi in acqua, la figlia del Duce   fece pressione perché si cercasse di recuperare almeno le salme delle sue tre sventurate compagne. Malgrado il mare mosso, le ricerche andarono avanti per tre giorni ma senza risultato. Poi, chiamato appositamente da Bari, ecco Giuseppe Carofiglio, palombaro di fama, chiamato ‘occhio d’argento’ per la capacità di lavorare anche in precarie condizione di luce (a quei tempi una torcia applicata al casco, all’uso dei minatori, era il top della tecnologia). Una rozza tuta di tela gommata appesantita da una cintura di piombo, l’elmo da palombaro, un maglione pesante e un cappello di lana era tutta la sua attrezzatura (che confrontata con quella di oggi…). Una pazzia con quel freddo. Alle 9.30 del 23 marzo, a nove giorni dall’affondamento, Carofiglio s’immerse. Individuò la salma della prima crocerossina (Maria Federici) nel locale segreteria del ponte C e quella di Ennia Tramontani tra i rottami del ponte B. Alle 16, esausto, risalì. Si immerse ancora alle 10,00 del giorno appresso e, dopo molto cercare, ancora sul ponte B rinvenne i resti dell’infermiera volontaria Wanda Sechi. Le tre sfortunate giovani vennero decorate con la medaglia d’oro al valor militare. Quanto al Carofiglio, rampollo d’una illustre famiglia di palombari baresi, non ci risulta che sia stato insignito d’alcunché. Ci auguriamo che le nostre ricerche siano state incomplete.
 
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Pubblicato il 13 Settembre 2011

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