Cultura e Spettacoli

Opus, l’inquietante metafora del regista Mark Anthony Green

Presentato ieri nell'ambito del Bif&st il film horror/drammatico

«Avere fama significa che milioni di persone hanno un’idea sbagliata di chi tu sia», scriveva Erica Jong. Presentato ieri nell’ambito del Bif&st il film horror/drammatico “Opus – Venera la tua stella”, opera d’esordio del regista Mark Anthony Green proiettata al Petruzzelli per la sezione “Rosso di Sera”. La storia racconta di Alfred Moretti (John Malkovich) nota stella del firmamento musicale degli anni ‘90, idolatrato dai fan di tutto il mondo, la cui assenza dalle scene è diventata essa stessa un mito. Dopo trent’anni di silenzio, Moretti annuncia il suo ritorno con un nuovo album. Per farlo convoca un gruppo ristretto di giornalisti e critici musicali nella sua tenuta, un luogo isolato dalla civiltà, in cui sembrano muoversi pacificamente, in nome di una venerata creatività, i membri di quella che si rivelerà essere una setta, in grado di compiere bestiali atrocità. Ariel Ecton (Ayo Edebiri), giovane e ambiziosa giornalista, ottiene un invito come accompagnatrice di un noto collega. Alla ricerca della notorietà, proprio come molti giovani della sua età, la ragazza intravede così la possibilità di progredire nella sua carriera: Moretti potrebbe consacrarla nel panorama giornalistico. Ma una volta giunta nella proprietà, è l’unica a capire che l’esagerata enfasi che ammanta ogni rito della strana comunità dei livellisti, in realtà nasconde qualcosa di macabro, che condurrà ad un tragico epilogo. Alla fine l’esperienza traumatica vissuta in quel frangente le consegnerà paradossalmente una fama nella quale resterà però intrappolata. Un finale, quello del film, che apre la strada a numerose interpretazioni e che genera riflessioni importanti sulle dinamiche operanti nella società in cui viviamo: «Ariel è lo spirito più autentico del film – spiega il regista – la mia speranza sulla nuova generazione, quella in cui credo molto. Non è mio compito esprimere un parere o dare consigli su cosa sia importante fare per uscire dai paradossi della società alienate in cui viviamo, ma sicuramente avendo conosciuto in prima persona le difficoltà di un lavoro come quello del giornalista, quello che posso consigliare è di continuare a svolgere questa professione, spesso molto problematica da gestire, cercando sempre con coraggio di andare verso la ricerca della verità, e se si fallisce, tentare ancora». Il giovane regista ha poi raccontato del suo credo e dei suoi valori di fronte a un pubblico di giovani numeroso e partecipe, durante la conferenza stampa dopo la proiezione del film. Un lavoro estremamente interessante per le implicazioni che suggerisce, e  per la capacità di mantenere viva la suspence. Evocativo nel suo gioco di rimandi paradossali, che sembrano spesso evidenziare il contrasto tra la percezione della vita reale e quella completamente stravolta dello star system, dove gli unici punti di riferimento sembrano essere la superiorità dell’individuo che ha raggiunto il successo, che diventa addirittura più importante del rispetto verso la vita stessa. Un film che si rivela una grande metafora del nostro tempo, in cui si è perso il contatto con la realtà e tutto sembra essere sacrificato in nome di un egocentrismo vuoto e sfrenato che divinizza e spettacolarizza la superficialità. Molto suggestive anche le riprese dall’ alto, su un paesaggio che sembra sempre di più un’operazione di straniamento dall’umano. Le musiche originali del film sono state scritte da Nile Rodgers e da The-Dream, e John Malkovich ha realmente cantato molte delle canzoni eseguite dal suo personaggio. Rosario Dawson, nella versione originale, presta la voce a Billie Holiday nell’inquietante spettacolino delle marionette, tra le scene più inquietanti del film, in cui topi malconci rappresentano il  mondo dei media, con la sua invadenza e i suoi spropositi.

Rossella Cea


Pubblicato il 26 Marzo 2025

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