Cultura e Spettacoli

Orti di pace, orti di guerra

In principio fu la clausura da pandemia, poi vennero la guerra d’Ucraina, quindi i rincari… A Bari, come un po’ dappertutto, è facile vedere balconi più utilizzati del solito. Destinati per tradizione ad ospitare piante ornamentali, queste superfici hanno sempre trovato scarso utilizzo. Ma qualcosa sta cambiando. Vasi in plastica di forma rettangolare, bassi e poco profondi vanno prendendo il posto delle graste in terracotta, circolari e a vasta circonferenza destinate ad accogliere gerani, petunie, verbene e margherite. Questi nuovi contenitori, poi, si presentano a sviluppo verticale, nel senso che, distanziati, del necessario, si sovrappongono, assicurati alle pareti da appositi sostegni. La novità non è finalizzata a fare spazio a specie floreali esotiche bensì a micro coltivazioni di generi alimentari. L’orto da balcone (anche da attico e – condominio permettendo – da terrazzo) sta diventando, specie per gli anziani, una salutare soluzione al caro-prezzi, al bisogno di svago e di alimenti di qualità. E così sui balconi ora si producono lattughe, pomodori, piante aromatiche, peperoncini, zucchine, melanzane e piselli, fagioli, fave, ceci… La tendenza dell’orto da balcone sta conoscendo un incremento esponenziale, tant’è che in proposito non si parla più di produzione a chilometro zero ma di produzione a passo zero. In Italia il fenomeno ha origini remote. Nel 1941, quando per effetto della disastrosa situazione bellica la crisi alimentare cominciò a farsi particolarmente pesante, il Fascismo lanciò la campagna ‘Orticello di guerra’. L’iniziativa consisteva nello sfruttare terrazzi e balconi per coltivare verdure e legumi, mentre ogni area verde pubblica era destinata al grano. Trebbiature storiche, con i covoni ricoperti da bandiere tricolori e vessilli fascisti e benedetti da alti prelati, si ebbero a Roma nei giardini dei Fori Imperiali, a Milano nei pressi del Duomo, a Torino nel Parco del Valentino… (chissà a Bari, in piazza Umberto?). Auspicando la reazione di un “popolo fiero, coeso e indistruttibile”, Mussolini incitava a “non lasciare incolto neppure un lembo di terra”. La trovata si rivelò un fiasco, nonostante gli sforzi propagandistici del Regime. Uno di questi fu la martellante diffusione per radio di una canzoncina, ‘Caro papà’, scritta da E. Filippini e Manlio e cantata da Jone Caciagli. Il testo ha per oggetto il languore fiero d’una bimba il cui padre è al fronte : “Le lacrime che bagnano il mio viso / son lacrime d’orgoglio, credi a me”. A consolare la piccola è la “fiamma d’amor di patria che consola / come ad amarla m’insegnasti tu”. Infine la ‘giovane italiana’ assicura il suo ‘babbuccio’ : “Anch’io combatto, anch’io fo la mia guerra / con fede con onore e disciplina / desidero che frutti la mia terra / e curo l’orticello ogni mattina / l’orticello di guerra”. Nata a Pisa, dopo un brillante carriera negli anni Quaranta, Jone Caciagli scomparve a Milano nel dopoguerra all’età di quasi trentotto anni. A portarla alla morte fu un incidente domestico: l’esplosione dello scaldabagno a gas.

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 13 Settembre 2022

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