Pagliare, in origine fu la specchia
Quando la pastorizia non aveva cadenze industriali, in Puglia, soprattutto tra Murgia e Gargano, lungo i tratturi erano frequenti gli jazzi, ricoveri temporanei per le greggi e le mandrie in migrazione stagionale. Queste costruzioni, tutte in pietra a secco ricavata sul posto dallo spietramento del suolo, presentavano al loro interno numerosi divisori pensati per con confondere le greggi e locali coperti, detti casoni o lamioni, che fungevano da alloggio per i pastori e da laboratorio dove scaldare il latte appena munto prima di procedere alla cagliata e produrre formaggio. Gli jazzi erano avvolti da un muro piuttosto alto sulla cui sommità erano collocate lastre infisse orizzontalmente e sporgenti verso l’esterno in modo da impedire l’ingresso a lupi, volpi e faine. Queste costruzioni si distinguevano anche per il fatto di essere costruite su terreni in pendenza per favorire il flusso dei liquami e dei reflui della lavorazione del latte. Quanto all’origine del nome, jazzo deriva probabilmente dal latino ‘jaceo’, voce del verbo iacere, ovvero giacere, stare, sostare, con espresso riferimento al fatto che queste strutture costituivano della stazioni di sosta nel corso della transumanza. La maggior parte degli jazzi prende nome dalle più vicine masserie (es. Jazzo Pantano). Altre volte prendono nome da antiche leggende (Jazzo Demonio) o da alcune caratteristiche della contrada in cui sorgono. E’ quest’ultimo il caso di Jazzo Pagliara, presente nel territorio di Ruvo. Per ‘pagliara’ si intende un tipo di costruzione in pietra a secco che in un passato relativamente lontano era destinata a deposito degli attrezzi agricoli, a stalla per asinelli o a occasionale ricovero per i contadini. Come l’immagine ben documenta, siamo in presenza di un fabbricato a metà strada tra il trullo e il nuraghe. Un attento studio dell’immagine consente di cogliere le ragioni di così insolite modalità costruttive. A differenza del trullo, l’ambiente della pagliara è assai meno voluminoso di quanto l’aspetto esterno lascia immaginare. Ciò dipende dal fatto che nell’elevare questo tipo di costruzione non si faceva ricorso alle stesse geniali soluzioni architettoniche adoperate nel caso dei trulli e che consentono di coprire una vasta superficie con un’ardita volta a cupola. Lo spazio ‘abitativo’ ricavato nella pagliara si riduce a quello corrispondente all’ultimo ‘gradone’ visibile. Non si può escludere che le pagliare venissero elevate dove esistevano specchie, gli ingombranti tumuli conici ricavati spietrando il terreno. Per guadagnare spazio da destinare all’agricoltura, quel materiale veniva ottimizzato assemblando ricoveri di fortuna. Non essendo maestranze specializzate, i contadini si contentavano di elevare secondo criteri costruttivi rimasti primordiali. In compenso, le pagliare si sono rivelate longeve. Si contano più trulli crollati per abbandono. Quanto all’origine del nome, esse rappresentano l’evoluzione ‘in pietra’ dei primi ricoveri dei contadini, rozzi rifugi realizzati con frasche e ricoperti di paglia.
Italo Interesse
Pubblicato il 7 Febbraio 2018