Cultura e Spettacoli

Pane e quotidiano con Andrea Zanzotto (IV parte)

Pochi grammi di poesia al giorno per stare a contatto con l’universo poetico che vibra intorno a noi

Andrea Zanzotto ha saputo raccontare lo spaccato di un’epoca non troppo lontana dalla nostra, ponendo al centro dei suoi versi la natura in tutto il suo splendore, in tutta la sua ineffabile aura di mistero, una natura che è segno di speranza, di un bene che, nonostante le sofferenze pubbliche – quelle storiche della guerra, della lotta partigiana, delle crisi economiche – e private – il lutto, la malattia, la depressione -, non sembra poter concedere spazio alle tenebre. Zanzotto restò sempre fedele al “paesaggio”, sua prima fonte d’ispirazione e la fine del paesaggio fu il suo incubo. In un libro-intervista del 2009, due anni prima della sua scomparsa, diceva:”Ora tutta questa bruttezza che sembra caduta dall’esterno sopra un paesaggio particolarmente delicato(…) non può non creare devastazioni nell’ambito sociologico e psicologico. Vivere in mezzo alla bruttezza non può non intaccare un certo tipo di sensibilità (…) alimentando impensabili fenomeni regressivi al limite del disagio mentale. Per esempio, aggressività, umori rancorosi, intolleranze e spietatezze mai viste”.Zanzotto muore il 18 ottobre del 2011, nella terra che lo ha cullato sin dal primo giorno della sua vita. E’ stato uno dei poeti più attivi nel ‘900 italiano e ha sfiorato spesso la possibilità di vincere il premio Nobel per la letteratura.

Idea

E tutte le cose a me intorno

colgo precorse nell’esistere.
Tiepido verde il nitore dei giorni
occulta, molle li irrora,
d’insetti e uccelli s’agita e scintilla.

Tutto è pieno e sconvolto,
tutto, oscuro, trionfa e si prostra.
Anche per te, mio linguaggio, favilla
e traversia, per sconsolato sonno
per errori e deliqui
per pigrizie profonde inaccessibili,
che ti formasti corrotto e assoluto.

Ed esanime il palpito dei frutti
e delle selve e della seta e dei
rivelati capelli di Diana,
del suo felice dolcissimo sesso,
e, agra e vivida, l’arsura
che all’unghie s’intromette ed alle biade
pronte a ferire,
e il mai tacente il mai convinto cuore,
tutto è ricco e perduto
morto e insorgente
tuttavia nella luce
nella mia vana chiarità d’idea.

da Vocativo, (1957)

Rubrica a cura di Maria Pia Latorre ed Ezia Di Monte


Pubblicato il 27 Ottobre 2023

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